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il giorno del dolore

Il mare in tempesta e i resti dell’alluvione di dicembre. «Qui il bagno non verrà a farlo più nessuno»

Il tragitto verso la spiaggia di Steccato, tra case disabitate e oggetti abbandonati. Le rose sulla spiaggia. Alcune resistono, altre volano via

Pubblicato il: 11/03/2023 – 20:35
di Francesco Veltri
Il mare in tempesta e i resti dell’alluvione di dicembre. «Qui il bagno non verrà a farlo più nessuno»

STECCATO DI CUTRO Ai lati dell’ultimo tratto di strada che porta alla spiaggia di Steccato di Cutro, ci sono case disabitate, ben fatte, finite, senza mattoni e ferri arrugginiti a dare alla Calabria il solito volto decadente. Davanti ai cancelli, però, sono accatastati oggetti di varia natura: credenze, materassi, cuscini, tubi, tavolini, tricicli, piatti, bicchieri. Sono quello che resta dell’alluvione di dicembre. «Non c’era mai stato nulla del genere da queste parti, il mare è arrivato fino a qui», rivela un carabiniere che vede i passanti fotografare quella strana immondizia per strada e vuole quasi giustificarla. «Queste sono le case dei turisti – dice l’uomo in divisa – chiamiamoli così. In realtà è gente del posto che vive in Emilia-Romagna e qui ci torna solo d’estate». Anche se l’estate, in questa minuscola porzione di mondo che oggi è conosciuta da mezzo mondo, probabilmente non avrà più il sapore di prima.

«Il bagno in questo mare maledetto, non verrà più a farlo nessuno»

«Queste case sono belle, alcune sono nuove, ma ormai non hanno più alcun valore. Il bagno in questo mare maledetto, non verrà più a farlo nessuno». Il mare, pochi passi più avanti, è ancora incazzato, proprio come raccontavano le immagini della televisione la mattina del 26 febbraio. Ci sono rose conficcate nella sabbia, a riva. Alcune resistono al vento e alle onde, altre si fanno portare via, qualcuna appassisce senza scomporsi. Ci sono le croci imperfette, fatte con i resti della barca che non ha aiutato nessuno, sfiorate timidamente da mani e sguardi che si fanno largo con compostezza tra la folla.

Ci sono vestiti, peluche e la sabbia che li affossa e li circonda, quasi a volerli proteggere dai curiosi. Come se quello spazio fosse un museo all’aperto e improvvisato di una terra lontanissima, forse mai come negli ultimi giorni, che appartiene a un Paese che la racconta con distacco e arroganza e non la conosce veramente. Una terra di migranti e migrazioni, da cui tutti fuggono da sempre per cercarsi un futuro migliore o qualunque, mentre altri arrivano, inconsapevoli, per lo stesso tragico motivo. Uno di loro parla alla folla in afgano. «È un familiare delle vittime», sussurra una ragazza a un’amica un attimo prima che arrivi la traduzione: «Il vostro primo ministro non ha avuto il coraggio di venire qui a darci le condoglianze. Questo primo ministro, non vi rappresenta. Non ho trovato differenze tra i talebani e il governo italiano». (redazione@corrierecal.it)

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