In questo pianeta digitale abbiamo un mondo per ognuno ma non abbiamo un mondo per tutti. La tragedia di Cutro lo ha dimostrato pienamente.
Arabzed aveva 31 anni, è morto con la moglie Johmgb, dieci anni in meno. Basira aveva lasciato Kabul a piedi con il marito Samiullah, i figli di 4 e 2 anni e la parente giornalista. Tutti morti a Steccato di Cutro a pochi metri dall’arrivo. Giocatrici di hockey, militari, ragazzi simili al protagonista di “Dagli appennini alle Ande”. Non c’è più mondo per loro. Pensavano di meritare un nuovo mondo, hanno ricevuto un mondo falso che disegna confini invalicabili. Voto “due” a questo mondo globalizzato in cui non tutti possono avere il proprio mondo.
Kenan di anni ne aveva 26, e cosciente dei rischi ha lasciato scritto: «Se non dovessi farcela, scrivete queste parole sulla mia tomba, su questa barca ho capito che sei il luogo in cui arrivi, quella è la tua destinazione».
Ora quei morti, sono tutti Steccato di Cutro. Avevano deciso di prendere il loro destino in
mano. Sono diventati il monito alla nostra coscienza (voto “dieci” alle loro memorie ma avremmo voluto assegnarlo questo voto alla loro integrazione con i nostri mondi). Saranno monito a coloro che verranno, al netto di una targa apposta nel municipio di Cutro da un governo arrivato con un aereo di Stato, trasferito con auto blu e contestato dal lancio di peluche che dicevano più di cento editoriali.
Il ministro Piantedosi, all’indomani della tragedia, ha detto parole impossibili da ascoltare mettendola malissimo subito come incontro con chi muore in una tragedia evitabile con buon senso e abnegazione, come avviene da anni. Ha rimediato il presidente della Repubblica Mattarella portando con silenzio e compostezza il cordoglio nazionale e recandosi a trovare i sopravvissuti (voto “10” per ecumenica rappresentanza e identificazione collettiva).
Mi si permetta di evidenziare il ruolo della stampa. I sopravvissuti portati in un centro di accoglienza, che di accogliente aveva panchine e spazi comuni per uomini, donne, bambini. Questa accoglienza in gabbia è quella che diamo alle migliaia di salvati. La pubblicazione degli articoli ha fatto capire ai grigi funzionari del Viminale che persone che hanno vissuto quel dramma almeno dovevano stare in un albergo. I grigi funzionari si sono occupati poi dei cadaveri. Con le migliori intenzioni volevano trasferirli d’ufficio tutti nel cimitero musulmano di Bologna. Parenti arrivati dalla Germania, da ogni parte, hanno visto aumentare il loro dolore. Hanno impedito il trasbordo d’ufficio. Ma un grigio funzionario conoscerà mai l’elaborazione del lutto? (Voto “zero”).
Soprattutto i giornalisti calabresi hanno mostrato tutta la loro schiena dritta durante la conferenza stampa più pazza del mondo di questo Governo, cui comunque almeno va riconosciuto di averci messo la faccia.
Senza timori reverenziali hanno incalzato Giorgia Meloni. La segretaria particolare del premier ha urlato al nuovo capo ufficio stampa Sechi «Mario, ferma i giornalisti». E’ ancora la stampa, bellezza. Come la fermi la voglia di verità e giustizia davanti a quello che è accaduto. Non lo fermi il vento. Lo ha ben descritto Simone Cannettieri del Foglio quel «sali e scendi di accuse e giustificazioni, urla, botte e risposte, occhi spalancati, commozioni». Scene mai viste in un’epoca che si era adagiata alla disintermediazione delle notizie da proporre in modo univoco. A Cutro è rinata la stampa libera (voto “dieci”). Tanto diversa da quella burocratica dell’Ordine dei giornalisti che mette sotto processo Corrado Formigli per «eccessiva spettacolarizzazione», per aver mostrato con insistenza la scarpetta di un ragazzo scomparso (Voto “tre” per ordinaria amministrazione del mestiere).
I fatti sono inoppugnabili. E si dovevano esporre meglio in una Cutro chiusa per decreto da un Prefetto che poteva essere meno di ferro vista la circostanza. La ricostruzione del nostro Pablo Petrasso (voto “10” per ingegneristica precisione) “Gli indizi prima dello schianto, il caicco senza speranza e gli ultimi 40 minuti di terrore” ha restituito i fatti inoppugnabili a differenza della relazione di Piantedosi che in 18 cartelle si è arrampicato sugli specchi su quello che non ha funzionato nella catena di comando.
Giorgia Meloni non è andata sulla spiaggia del disastro, non è andata ad omaggiare i morti, non ha pensato di far visita ai loro parenti. Tardivamente si è detto: «Inviteremo i parenti a Palazzo Chigi». I quali a quanto pare non andranno perché anche le tragedie hanno una loro dignità.
Eppure in Ucraina la premier si era commossa davanti ai pupazzetti dei bambini uccisi dalla guerra. Nessuno pensa che il governo Meloni abbia pianificato questa strage. Ma c’è stata molta inadeguatezza. Governare significa saper interpretare dei sentimenti. (Voto “quattro”). E quel capitano Salvini che arriva con la cartella con su scritto “Ponte” e che chatta per tutta la conferenza stampa come non dargli un “due”. Comunque nel giorno del suo compleanno vince lui visto che ha salvato le funzioni di Piantedosi che volevano trasferire al ministro Crosetto. «Andremo a cercare gli scafisti in tutto il mondo terracqueo» è stata una frase da talk show che ha aggiunto inutile umorismo a quel mondo social che non riesce ad evitare che non abbiamo un mondo per tutti.
In questo mondo c’è Cutro. La tragedia ha oscurato Grande Aracri il boss locale che aveva conquistato il Nord (voto “zero”). Qui nacque Diego Tajani, guardasigilli di De Pretis e magistrato che perseguitava la mafia, antenato dell’attuale ministro degli Esteri che nelle convulse ore governative in Calabria ha ricevuto per questo motivo una cittadinanza onoraria sfuggita ai più. Molti meriti invece vanno al Centro Studi Tajani che a Cutro studia l’evoluzione delle mafie con rigore e approfondimento (voto “otto”).
La tragedia di Steccato ha fatto rievocare anche il tumultuoso passaggio di Pier Paolo Pasolini da Cutro quando in un reportage scrisse che aspettava di veder comparire i banditi da un momento all’altro attorno alle dune del posto. Ne nacque una polemica furibonda degna di Pasolini che rispose, spiegò, tornò a Cutro e Crotone e vi ambientò scene del suo capolavoro su Cristo narrato dall’evangelista Matteo.
In quel contrasto l’intellettuale colse il nostro complesso d’inferiorità, ancora spesso presente, la psicologia patologica calabra, la nostra mania di persecuzione che Pasolini socialmente e storicamente giustificava. E infine Pasolini invitava a lottare per cambiare.
Sarebbe piaciuta a Pasolini quella processione dei cutresi sulla spiaggia di Steccato con quella Croce composta dal legno del relitto.
Un frammento di quel relitto è stato consegnato a Papa Francesco da don Mirko e don Francesco due sacerdoti della parrocchia di Isola Capo Rizzuto. (Voto “dieci” a queste espressioni di umana religiosità popolare calabrese). Sarebbe piaciuta e avrebbe descritto da par suo Pasolini anche la manifestazione da pianto di escavatrice che oggi a Cutro chiederà di “Fermare la strage subito”. Sarebbe piaciuto a Pasolini il lancio di palloncini al Liceo Scientifico di San Giovanni in Fiore lo scorso 8 marzo per le donne, le madri, le bambine di Steccato di Cutro. È cambiata la Calabria dei banditi di Pasolini, oggi le donne di Cutro chiedono al governatore Occhiuto «fate restare in Calabria i nostri figli».
Ed è tornata a rileggersi la profezia di Pasolini che scrisse di Alì sulle barche varate nei regni della fame, e con lui migliaia di uomini porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio e subito i Calabresi diranno: «Ecco i vecchi fratelli con il pane e il formaggio». Sarebbero piaciuti a Pier Paolo quei soccorritori calabresi che da 14 giorni cercano dispersi e confortano parenti. Neanche una profezia di Pasolini ha previsto però che ci sarebbe stato un mondo virtuale per ognuno e nessun mondo per tutti. A Cutro, in Calabria, nel 2023.
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