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Cosenza, la disperazione del padre di un assuntore. «Se spari mio figlio ti pago un caffè»

Il genitore cede di fronte all’ennesima richiesta di denaro. «Ho solo 5 euro per il pane». Alla Polizia dice: «Mio figlio ha tentato di uccidersi»

Pubblicato il: 14/03/2023 – 16:26
di Fabio Benincasa
Cosenza, la disperazione del padre di un assuntore. «Se spari mio figlio ti pago un caffè»

COSENZA «Uno spaccio al minuto» compiuto da una organizzata rete di pusher in grado di rifornire costantemente e con estrema facilità gli assuntori cosentini. E’ quanto emerso nell’ambito dell’inchiesta denominata “Pressing” coordinata dalla procura di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo ed eseguita stamane all’alba dagli uomini e le donne della squadra mobile di Cosenza. Un anno di indagini, dai primi mesi del 2021 fino al 2022, avviate a seguito di alcune intercettazioni decise dopo l’arresto in flagranza di reato, datato 6 febbraio 2021, di un soggetto resosi responsabile di estorsione nei confronti di un uomo. Che era debitore di 5.000 euro per la vendita di una partita di cocaina. Nonostante fosse costretto agli domiciliari, il creditore avrebbe continuato a svolgere l’attività illecita grazie al sostegno della compagna e con collegamenti con alcuni degli indagati nell’inchiesta “Pressing”. Si tratta di Stefano Casole, Ippolito De Rose e Paolo Recchia.

«Se me lo spari ti pago un caffè»

Sono diversi gli episodi di spaccio segnalati dagli investigatori. Nelle captazioni, non si parla solo di droga, utilizzando ovviamente termini diversi per indicare la sostanza stupefacente, ma si intuisce il tono minaccioso utilizzato da alcuni interlocutori intenti a riscuotere somme di denaro derivanti dalla presunta cessione di droga. E’ il caso di una captazione del settembre 2021 quando uno degli indagati, Stefano Casole (finito in carcere) si rivolge ad un’altra persona ricordandogli che suo figlio ha subito un pestaggio giorni prima a Cosenza per non aver ottemperato ad un debito di droga e pretendendo la restituzione del denaro. «Quello che ti ha fatto Dimitri non è niente a confronto di quello che ti posso fare io», dice Casole all’assuntore. L’indagato non si limita alla minaccia nei confronti del giovane e telefona al padre dell’assuntore. Il tono della telefonata è drammatico, il genitore evidentemente in preda alla disperazione e divorato dal dramma vissuto dal figlio, schiavo della droga, risponde così alla richiesta di denaro avanzata da Casole. «Senti, me lo vuoi fare un piacere? Se me lo spari ti pago un caffè». Casole rimane sorpreso e tenta una risposta. «Tuo figlio è buono, deve smettere di frequentare gente di merda». Il padre dell’assuntore insiste. «Per me è morto, io preferisco che mio figlio muoia, te lo giuro. E’ un drogato perso, è un delinquente». Casole prova a chiedere la restituzione del denaro (100 euro) e il genitore risponde. «Ho solo 5 euro per comprare il pane, mio figlio mi ha rubato tutto… lo sai che se muore non ho i soldi per il funerale?». La discussione continua e genitore confessa tutta la propria disperazione. «Prendo 502 euro al mese di pensione». Alla fine i due si accordano per la restituzione di 100 euro.

«Mio figlio ha provato a ingerire acido muriatico e ad impiccarsi»

Il padre dell’assuntore viene sentito dagli investigatori. Il racconto fornito è una confessione a cuore aperto, un disperato allarme lanciato da un genitore piegato dalla difficoltosa gestione di un giovane caduto nel vortice della polvere bianca (oggi in cura al Sert di Cosenza). E’ affetto da una psicopatologia a sfondo paranoideo. «Nel 2019 – racconta il padre – ha avuto una convulsione in casa, trasportato in ospedale emerge chiaramente la presenza di droga nel sangue». Da quel momento inizia un incubo fatto da telefonate ricevute da pusher desiderosi di ricevere i danari vantati, visite in casa da parte di creditori, e poi diversi tentativi di suicidio tentati dall’assuntore che «ha provato a ingerire acido muriatico e ad impiccarsi». «Circa due mesi fa – continua – non ho visto arrivare mio figlio a casa, girando a Cosenza tutta la notte l’ho trovato ferito e dolorante a terra». Era stato pestato per non aver saldato un debito di droga, l’ennesimo. (f.benincasa@corrierecal.it)

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