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Omicidi, agguati, spaccio e armi. La “verità” del pentito Barone sul clan degli “Zingari”

Il collaboratore di giustizia cosentino consegna ai magistrati le confessioni sull’attività della cosca e i nomi di vertici e affiliati

Pubblicato il: 18/03/2023 – 17:22
di Fabio Benincasa
Omicidi, agguati, spaccio e armi. La “verità” del pentito Barone sul clan degli “Zingari”

COSENZA Parla Ivan Barone, neo collaboratore di giustizia cosentino. L’indagato nell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Reset” fa parte del clan degli Zingari di Cosenza dal 2012. La decisione di pentirsi arriva qualche giorno dopo l’ultimo arresto.

Il ruolo di Barone nel clan

Chi è Ivan Barone? Qual è il suo ruolo nel gruppo degli Zingari? Secondo quanto emerso dalle indagini, si sarebbe reso «sempre disponibile per la commissione di specifiche azioni esecutive del programma associativo ed in particolare funzionali al traffico di sostanze stupefacenti». Ma anche in una serie di condotte legate alla richiesta del “pizzo” ad alcuni commercianti. «Avevo il compito di riscuotere le estorsioni e di distribuire i soldi ai familiari dei detenuti. Io stesso ho consegnato le somme di denaro alla moglie di Maurizio Rango, alla moglie di Ettore Sottile, alla moglie di Marco Abbruzzese e ai familiari di Carlo Lamanna». Secondo il racconto fornito, Barone avrebbe partecipato a summit di ‘ndrangheta «con Michele Di Puppo, Luigi Abbruzzese, Marco Abbruzzese, Roberto Porcaro e Cosimo Bevilacqua». A proposito di quest’ultimo, il pentito rivela: «è stato lui inizialmente a prendere le redini del gruppo “zingari” dopo l’arresto di Rango. Successivamente, nel sospetto che il fratello, Gino Bevilacqua fosse un informatore, è stato messo da parte e la direzione è stata assunta da Luigi Abbuzzese e dal cognato Antonio».

L’omicidio Ruffolo

Sei colpi di pistola calibro 7,65 sparati contro Giuseppe Ruffolo a bordo della sua Alfa Romeo Giulietta mentre percorreva via degli Stadi a Cosenza. Massimiliano D’Elia, ritenuto colpevole del delitto, è stato condannato – in primo grado – a 28 anni e 6 mesi di reclusione. Sul delitto, Barone riferisce quanto di sua conoscenza. «A commettere l’omicidio è stato D’Elia su mandato di Roberto Porcaro. I fatti mi venivano riferiti da Luigi Abbruzzese nell’anno 2017-2018». Secondo quanto riferito «il movente risiedeva nel fatto che Ruffolo svolgesse attività di usura senza l’autorizzazione dell’organizzazione».

I tentati omicidi Meduri e Candreva e il ferimento del “Pancione”

E’ il 6 settembre 2022 quando nella casa circondariale di Cosenza, Barone davanti al pm Vincenzo Capomolla procuratore aggiunto ed ai sostituti procuratori Vito Valerio e Corrado Cubbellotti, conferma la volontà di collaborare per sottrarre dal suo stile di vita la propria figlia. Il primo spunto, Barone lo offre in merito al tentato omicidio di Pierangelo Meduri «commesso da Nicola Abbruzzese e la circostanza mi è stata riferita da Marco Abbruzzese e Luigi Abbruzzese i quali mi hanno detto che si trattava di un’azione compiuta per punire lo spaccio di eroina sottobanco». Il racconto continua e sono i dettagli di un altro tentato omicidio a catturare l’attenzione dei magistrati. Quando cercarono di ammazzare Vincenzo Candreva, «io era presente» dice Barone. Sono rimasto vicino a Marco Abbruzzese, che ha materialmente fatto fuoco. Sono rimasto vicino a lui su espressa richiesta di quest’ultimo». I mandanti «sono stati Luigi Abbruzzese e il cognato Antonio Abbruzzese che erano lì presenti». C’è un altro episodio criminoso suggerito dal collaboratore e riguarda il ferimento di Rocco Abbruzzese alias il “Pancione”. «L’autore dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco è stato Marco Abbruzzese per motivi di droga». Il gruppo degli Abbruzzese conosciuto in ambiente criminale con l’appellativo di “Banana” in una occasione avrebbe evitato l’omicidio di Ivan Barone. I sicari non sono entrati in azione, ma volevano zittire per sempre il fedelissimo del clan perché «se mi avessero arrestato avrei potuto collaborare con la giustizia».

La guida del clan passa nelle mani di Gianluca Maestri

Ivan Barone, partecipe dell’associazione criminale, era tra i principali spacciatori e uomo di assoluta fiducia all’interno del sodalizio, avendo buone capacità “commerciali”. Era bravo nel vendere lo stupefacente ed a disposizione del gruppo anche per altri compiti logistici di trasporto e detenzione dello stupefacente. Uno dei pochi partecipi ad avere anche libero accesso nei luoghi in cui gli Abbruzzese nascondono, preparano o confezionano la droga. Il pentito, dunque, conosce molti dei segreti della cosca e a tal proposito riferisce di un cambio alla guida del gruppo al vertice del quale pone Gianluca Maestri. «Che si occupava della gestione del traffico di stupefacenti, in particolare hashish e cocaina». L’arresto dei vertici dei “Banana” crea non solo un vuoto per quanto attiene la guida del sodalizio ma anche nell’organizzazione dello spaccio. Un vuoto colmato proprio da Barone. «L’eroina mi veniva consegnata da Rosaria Abbruzzese, presso la sua abitazione per circa 100 grammi per volta, confezionata». E le armi? «Quelle rinvenute a via Popilia erano custodite dal gruppo Abbruzzese ed erano nella disponibilità dell’organizzazione. Aggiungo che in alcuni episodi io stesso insieme a Marco Abbruzzese ho proceduto alla pulizia e manutenzione di Kalashnikov e del relativo munizionamento». Il pentito confessa un particolare interessante per chi indaga. «A seguito dell’omicidio di Taranto noi circolavamo tutti quanti armati, temendo delle possibili ritorsioni». (f.benincasa@corrierecal.it)

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