Nel nome Lamezia Terme intanto c’è l’essenza del benessere, perché qui «sgorgano acque salutari che hanno, con l’efficacia delle loro proprietà terapeutiche, curato Bruzi, Greci, Romani, e Normanni» e la scelta – insieme a quella dell’unione dei tre comuni, Nicastro, Sambiase e S.Eufemia – confidava chiaramente sul centro termale, altrove fonte di sviluppo per l’economie locali (magari, sic!), come per Montecatini Terme – dove non è possibile scindere la storia di Montecatini da quella delle Terme – indiscutibilmente al centro di politiche attente e mirate, sostenute da adeguate e concrete strategie promozionali e non fondate solo su chiacchiere, balle e panzane elettorali.
In fondo, lo sa bene anche Francesco Grandinetti (un tempo editore televisivo), che nella storia contano anche i fatti non avvenuti, ma è lo stesso ingegnere, ad ammettere (Qui) con sommo rammarico, riferendosi al nome dell’aeroporto lametino: «a cui non resta che questo» e, cioè, solo il nome di uno scalo aereo, urbanisticamente slegato dal resto della città come la stazione ferroviaria, dove transitano solo frenetici passeggeri diretti altrove.
Lo sanno bene anche gli eroici proprietari delle Terme di Caronte quanta resilienza ci vuole per non chiudere i battenti in una città sola, ferma, avvitata su se stessa e sui suoi problemi, lontana dagli altri comuni, lontanissima dai destini delle città europee, ma in compenso invasa dai cinesi, assiepati a Sant’Eufemia, il quartiere dove c’è stato l’assalto indisturbato a bar, negozi e appartamenti (in un contesto di sfrenata concorrenza) e dove una galassia di grossisti continua a vendere, a qualsiasi ora del giorno (compresi i festivi), a centinaia di ambulanti per lo più magrebini, attivi nel commercio al dettaglio.
Numeri che hanno cambiato anche l’aspetto di un quartiere – che parla cinese – dove si aspettano solo cortei di leoni danzanti e di lunghi dragoni scintillanti per festeggiare il capodanno.
E lo sanno bene i politici che cinguettano sui social: Lamezia Terme è una città fatta da chi la abita, ma che vorrebbe poterla vivere, senza la fatica di camminare su marciapiedi rotti e strade dissestate, tra quartieri rimasti divisi anche nel calcio, che appaiono e scompaiono dalla geografia degli investimenti, senza una visione culturale e urbanistica che la proietti nel futuro e, soprattutto, senza la vergogna del campo rom di Scordovillo dove i riflettori si spengono e le luci si riaccendono solo quando bruciano rifiuti tossici.
Lamezia Terme merita più di un nome che svetta in cima all’aerostazione! (paola.militano@corrierecal.it)
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