LAMEZIA TERME Un’azienda storica, uno dei simboli calabresi nel mondo. Un brand che è prima di tutto sinonimo di arte, visione ma anche tradizione e valorizzazione del territorio. Parliamo di “Spadafora gioielli”, un’azienda la cui storia coincide con quella familiare. Sono quattro, infatti, i fratelli che hanno ereditato l’impresa artigiana e sono Monica, Giuseppe e Giancarlo Spadafora (è Carolina la quarta, ndr) a raccontarla nell’ultima punta di “Ti racconto un’impresa”, il format ideato da L’altro Corriere Tv e dedicato alle realtà imprenditoriali calabresi.
«La nostra storia – racconta Monica Spadafora – è legata strettamente alla storia della tradizione orafa calabrese perché la nostra una famiglia pratica la professione dell’oreficeria sin dalla fine del 1700. E papà cresce all’ombra del laboratorio orafo di suo nonno, Francesco Spadafora, che aveva il laboratorio e la sua piccola bottega nel centro storico di San Giovanni in Fiore». «L’oreficeria – racconta – in quegli anni era molto più sentita rispetto ai giorni nostri, sembra una cosa strana ma in realtà è veramente così perché c’era una cultura popolare molto legata al gioiello. Noi lo raccontiamo in un volume di 468 pezzi raccolti durante l’arco della vita di papà, che è sempre stato appassionato del gioiello antico non solo per restaurarlo, ma proprio per conservarlo, e presto nascerà anche un museo. In questo volume noi raccontiamo la storia del gioiello negli anni, in 150 anni di storia dal Regno delle due Sicilie, il gioiello che è poi la storia del popolo, non il popolo d’élite. La famiglia del contadino, ad esempio, aveva bisogno di manifestare la propria ricchezza attraverso il gioiello, per qualunque occasione ci si recava dall’orafo per realizzare legato a quel particolare avvenimento la nascita, il matrimonio, la promessa di matrimonio».
«Spadafora non è un’idea, è una passione – racconta ancora Monica Spadafora – che viene da una storia familiare e che papà ha portato avanti senza mai preoccuparsi d’altro. Noi, come famiglia, ne abbiamo anche un po’ risentito perché papà era ingegno artistico, non semplicemente l’orafo che stava seduto al banchetto e realizzava il piccolo gioiello. Qui sono circondata dalle corone che sono state la passione di mio padre, per questo gli venne dato l’appellativo di “orafo delle Madonne”, perché nella sua vita ne ha realizzate più di 400, abbellendo le statue di tutta la Calabria ma non solo, siamo arrivati anche fino in Sud America, dove parte della famiglia Spadafora emigrò negli anni ‘50». «I miei fratelli – spiega Monica Spadafora – si occupano della produzione e della maggior parte della dell’attività aziendale, dal design alla produzione, anche io disegno e mi occupo delle pubbliche relazioni e dell’aspetto legale insieme a mia sorella. E cerchiamo appunto di portare avanti questa eredità pesante, perché papà era una persona molto impegnativa, un artista eclettico nel realizzare le sue corone, ha inventato anche nuovi modi di portare le corone. Tradizionalmente dalla testa del Santo spuntava il chiodo in cui infilare la corona con un buco e nel trasportare la statua queste corone barcollavano. Papà ha fatto l’inverso, ha tirato fuori il chiodo, ha messo un tassello e ha fatto in modo che la corona si avvitasse nella testa della Madonna».
«Papà è stato un visionario, è partito dall’ispirazione di quello che lo circondava, era profondamente legato alla Sila, non si è mai spostato da qui e in quegli anni volle investire su Lorica dove venivano fatti gli “incontri silani” pensati da un illuminato sindaco di Pedace, Rita Pisano. In quegli anni, stiamo parlando dei primi anni ’80, vennero moltissimi attori, cantanti, erano artisti che avevano fatto anche la fortuna dell’industria cinematografica italiana. Da lì papà ebbe questa intuizione di inseguire anche quel mondo, gli incontri con Roberto Benigni con cui aveva un rapporto privilegiato, ma papà era uno che aveva la simpatia oltre a questa passione, oltre a questa profondità, era una persona profondamente umile e simpatica». «Lo dico veramente con cognizione di causa perché quando poi è venuto a mancare abbiamo ricevuto migliaia di testimonianze in questo senso di aneddoti raccontati sia dalle persone più umiche, dalle persone che hanno comunque ricoprono ruoli più importanti».
«Papà – ci racconta ancora Monica Spadafora – ha avuto anche molte collaborazioni con artisti e pittori, l’arte dell’oreficeria può essere indossata e lui si rappresentava così. Ad esempio portava la “pacchiana” dappertutto, l’ha portata nel mondo e ne andava orgoglioso. Aveva questa intelligenza di unire la tradizione all’aspetto commerciale. Quello che diceva era “la pacchiana è una vetrina ambulante, non ho bisogno di andare in giro con le vetrine per mostrare i gioielli”. E, oltre a questo, l’importanza del simbolo di San Giovanni in Fiore. Si è legato a questa terra in maniera viscerale che è un po’ croce e delizia della storia del suo brand, perché se lui avesse seguito l’onda delle migrazioni di quegli anni, probabilmente avrebbe scelto il Nordamerica e probabilmente adesso staremmo raccontando un’altra storia». «Io ero l’ombra di papà sin da piccola, non lo mollavo mai. Nel volume ori antichi della famiglia Spadafora c’è una postfazione scritta da me ed è intitolata “il profumo del fuoco che brucia” e parla di questa alchimia, c’è sempre questo cannello, questi profumi, questo metallo nero che poi veniva lucidato e diventava oro».
«L’aneddoto che ricordo sempre molto affettuosamente – racconta – è stata la realizzazione dell’urna che nel 1989 avrebbe contenuto poi le ossa di Gioacchino da Fiore. Quello fu un incontro fortunatissimo». «Papà fu veramente il primo artigiano, poi venne seguito giustamente anche da altri, ma fu assolutamente il primo a portare Gioachino da Fiore nelle case delle persone che non appartenevano a quelle élite di studiosi ai quali è stato a lungo relegato il pensiero di Gioacchino da Fiore, anche ora una ragazza che per il diciottesimo ama fare questi shooting fotografici con i nostri gioielli, indossa per lo più Gioacchino da Fiore. Abbiamo reso popolare e democratico un pensiero molto complicato da comprendere ai più». E per il futuro Monica Spadafora e la sua famiglia hanno le idee chiare: «Quello che ci aspetta nel futuro e la prospettiva è la proiezione di questa eredità verso nuovi mercati, innanzi tutto senza mai tralasciare la nostra origine e da questo punto di vista stiamo lavorando alla realizzazione di un museo che racconti appunto da dove siamo partiti e dove vogliamo arrivare».
Gioielli e cinema, un binomio fondamentale per l’azienda Spadafora. A raccontarlo è Giuseppe Spadafora. «Venezia – ha detto – ci ha dato veramente uno slancio sul set internazionale del cinema, abbiamo avuto l’opportunità di realizzare i premi per gli attori richiesti dalla “Star Light” di cui Francesca Rettondini e Giuseppe Zaccaria sono gli ideatori, adesso è il quinto anno che abbiamo partecipato al Festival realizzando questi premi, una sorta di pellicola e pizza cinematografica molto apprezzata da tutti gli attori che lo hanno ricevuto perché non è il solito premio a detta loro ma è proprio inerente al loro lavoro».
«Nostro padre – racconta l’altro fratello Giancarlo Spadafora – ha avuto la grande capacità di trasmettere a noi figli questo lavoro perché non è semplice. Oggi il passaggio generazionale tra padre e figlio in azienda non è semplice, noi invece lo abbiamo seguito da bambini, parliamo proprio dell’adolescenza o quando avevamo 5 o 6 anni papà ci portava in azienda. È stato poi molto scaltro perché trascinandoci dietro abbiamo assorbito questo lavoro; anche andando a scuola la nostra testa andava proprio su questo mestiere». (redazione@corrierecal.it)
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