COSENZA I racconti forniti dal neo collaboratore di giustizia Ivan Barone continuano. I magistrati antimafia annotano date, uomini, circostanze ed episodi delittuosi. La ricostruzione della catena di comando del clan degli “Zingari” di cui il pentito era esponente e le cosche federate nel “Sistema” della mala cosentina. Dopo aver dato conto di alcuni fatti di sangue (qui la notizia) e dopo aver confessato il proposito del clan di far fuori l’attuale collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti (qui la notizia), Barone fornisce dettagli in merito al reperimento di armi dei suoi ex compari.
Le armi come riferito da alcuni esponenti della mala bruzia, servivano a difendersi da eventuali attacchi e per rafforzare l’esercizio del potere da imporre sul territorio. Il clan degli “Zingari” – nel 2007 – come racconta il collaboratore parte in missione e raggiunge Rosarno. «Una sera d’estate, verso le 19.30, partii con Marco Abbruzzese, Leonardo e Fabio Bevilacqua e ci recammo a Rosarno per acquisire della armi. Giunti a Rosarno incontrammo due ragazzi che si presentarono come esponenti del clan Pesce. L’incontro si svolse nel retro di un bar e nel corso della trattativa, Marco Abbruzzese ed i due ragazzi si accordarono per la cessione di una mitraglietta “scorpion” ed una pistola calibro 9×21, in cambio delle quali Abbruzzese doveva versare loro una somma di 1.800 euro».
Nel corso dell’incontro, i due ragazzi «chiesero informazioni su Alfonsino Falbo, riferendo che quest’ultimo aveva un vecchio debita con loro, originato dal mancato pagamento di una partita di cocaina». I cosentini spiegarono ai due esponenti del clan Pesce che Falbo si trovava in carcere».
La pratica del sottobanco non è ammessa dalla mala. Chi vende senza autorizzazione la droga viene pestato o addirittura multato, costretto a pagare ingenti somme per riparare allo sgarro. Lo sa bene Barone. «Quando qualcuno veniva scoperto a rifornirsi di droga da gruppi esterni agli “Italiani” e agli “Zingari” di Cosenza veniva punito mediante pestaggi oppure con “sanzioni” di 50 ai 100 mila euro da versare ai gruppi cosentini a seconda della quantità di droga acquistata in sottobanco».
La collaborazione con la giustizia, spaventa i vertici del clan dei “Banana”. La paura che qualcuno posso svelare dettagli e informazioni sui business illeciti, sulla organizzazione del sodalizio, costringe alcuni membri della cosca a ipotizzare una minacci di morte nei confronti di un diretto congiunto. La circostanza era già emersa nel corso di alcuni procedimenti contro pezzi degli Abbruzzese, per bocca del destinatario di quelle minacce: Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”.
La notizia del possibile pentimento del rampollo degli “Zingari” fa tremare il resto della famiglia Abbruzzese, come racconta Ivan Barone. «Sono salito a Roma insieme a Luigi Abbruzzese, Marco Abbruzzese, Nicola Abbruzzese ed il cognato Antonio Abruzzese perché i “Banana” volevano a tutti i costi effettuare un colloquio con “Micetto” (ristretto in carcere) per farlo ritrattare e con l’idea che se non avesse ritrattato lo avrebbero ammazzato nel carcere stesso». Il racconto prosegue. «lo ed Antonio Abruzzese siamo rimasti fuori, mentre i fratelli sono entrati ma non sono riusciti ad effettuare il colloquio perché “Micetto” si è rifiutato». Grazie anche alle dichiarazione di Celestino Abbruzzese «è stata falla l’operazione di polizia, denominata “Testa del serpente”. (f.benincasa@corrierecal.it)
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