REGGIO CALABRIA Un furto da commettere su commissione, mai portato a termine, ma che quasi porta allo scontro tra clan confinanti. La vicenda è stata ricostruita dagli inquirenti della Dda di Reggio Calabria ed inserita nell’ordinanza del gip del Tribunale di Reggio Calabria, Stefania Rachele, confluita nell’operazione “Hybris” che ha colpito la cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli con 49 arresti. La vicenda è stata ricostruita grazie ad alcune conversazioni risalenti al novembre del 2020 con protagonisti gli indagati Aurelio Messineo e Cosimo Romagnosi (cl. ’83), entrambi finiti in carcere.
«(…) ce n’è uno a Catanzaro che lo possono fare perché è bello fresco fresco (…) questo qua per ora non lo tocchiamo, c’è quell’altro che si deve aspettare la stagione prossima per prendere i soldi (…) invece quello di Catanzaro subito, in poche parole quello là a noi ce lo pagano ventimila euro. Noi prima li accompagniamo per vedere il posto, poi sono cazzi loro, due centrifughe sono». In questa prima conversazione intercettata il 17 novembre 2020, gli indagati programmavano di rubare, da uno stabilimento di Catanzaro, due centrifughe e due separatori, mezzi agricoli utilizzati nella lavorazione dell’olio, a bordo di un camion, con lo scopo di rivendere tutto a 20mila euro. Nel piano è previsto, inoltre, il coinvolgimento di alcuni soggetti della comunità rom stanziata a Gioia Tauro. E così quella stessa sera, Cosimo e Domenico Romagnosi, come ricostruito dagli inquirenti, si confrontavano con Gaetano Amato, di etnia rom, anche lui tra gli arrestati, ed un altro soggetto proprio per pianificare il furto delle macchine industriali in alcuni oleifici già individuati uno nella provincia di Catanzaro ed altri nella Piana di Gioia Tauro. «(…) è in un posto bello pulito, isolato, di campagna» spiega Messineo «due centrifughe e due separatori». «Eh, ma come li carichiamo?» chiede Cosimo Romagnosi. «E non so, sul camion si devono caricare, ci vuole una gru» «comunque dammi il tempo di vedere di preciso perché quello che entra ed esce di là sa morte, vita e miracoli». I due, dunque, sono da subito disponibili ad eseguire i furti e si congedano, con l’intesa di attendere altre disposizioni su modalità e tempi da rispettare. «C’è un altro lavoro che si deve fare» spiega ai presenti ancora Messineo «si deve aspettare però, se si fa il lavoro, si deve aspettare la stagione prossima. Facciamo il lavoro ed aspettiamo la stagione prossima?» «(…) però ce n’è un altro che può darsi che prima di Natale, però là sono pezzi di cinquanta quintali…». «Il tempo di organizzarsi – risponde Cosimo Romagnosi – e vediamo».
Due giorni dopo, il 19 novembre 2020, gli inquirenti intercettano un’altra conversazione tra Messineo e Romagnosi, uno scambio di battute dal quale si intuiva che il progetto di prelevare i mezzi in questione era più ampio e riguardava non solo un sito in provincia di Catanzaro, ma anche un altro nel comune di Terranova Sappo Minulio – piccolo centro della città metropolitana di Reggio Calabria – ed infine uno nei pressi del porto di Gioia Tauro, dove era stato eseguito un sopralluogo. «Poi c’è un depuratore, un separatore… mi spiego? Questi sono i primi pezzi che loro devono prendere… se hanno spazio che mettano quella là dove c’è il coperchio della pasta che quello è tutto elettronico come questa qua». È quanto spiega Messineo a Cosimo Romagnosi che chiede: «Se vanno con due camion ce la fanno?» «Se ce la fanno tutto in una volta – risponde Messineo – tanto di guadagnato, là c’è un mulettino piccolo là dentro». Si comprende, ancora, che il lavoro doveva essere eseguito da una “squadra” e attraverso l’utilizzo di un “muletto” o di un camion. Ed in effetti poco dopo Romagnosi incontra un soggetto chiamato “Ciccio” a cui indicava il lavoro da svolgere ed anche il corrispettivo che aveva previsto, pari a 7000 euro.
«Vediamo per fargli fare quello di Catanzaro e poi, una volta che abbiamo i soldi di questo, gli facciamo fare quell’altro di Terranova, ce lo nascondiamo noi, glielo paghiamo e poi li lasciamo e gli facciamo fare quello là, quello più grande». È uno dei tratti salienti della conversazione intercettata tra Messineo e Romagnosi, con il primo che riferisce l’esito del sopralluogo. È il 21 novembre 2020 quando Cosimo Romagnosi informa Messineo che gli «zingari» erano pronti ad attuare il piano criminoso, riferendo di un sopralluogo effettuato la sera precedente. «Sono andati a vedere (…) E comunque stasera lo fanno». Così la polizia giudiziaria, dopo aver verificato che il sito in questione era quello di proprietà di una cooperativa, a San Ferdinando, piazzano delle telecamere di videosorveglianza che appuravano la presenza di alcuni uomini, introdottisi nel sito scavalcando la recinzione, nel tardo pomeriggio del 24 novembre 2020. Si tratta di uno stabilimento industriale disattivo di una ex cooperativa di produttori olivicoli, ricompreso, anche se per poco, nel comune di San Ferdinando e quindi sotto l’influenza mafiosa dei Pesce di Rosarno. E, da una conversazione del 25 novembre, si comprendeva che i soggetti introdottisi nella sede della cooperativa nel pomeriggio precedente erano gli stessi che erano stati incaricati di asportare i mezzi agricoli da Romagnosi e Messineo.
Ma il sito della cooperativa faceva gola anche ai Pesce di Rosarno, quelli «dell’altro lato» che effettivamente agiscono prima del gruppo Piromalli. Un problema in più per il gruppo visto che, tra gli ostacoli da superare, c’era già quello dell’antifurto e del sistema di videosorveglianza che il gruppo rom capeggiato da Francesco Bevilacqua noto come Ciccio “U Catanisi” aveva sottolineato in più di una discussione. «Lo hanno fatto già ieri sera» spiega Romagnosi a “U Catanisi” e ad un altro rom, Cosimo Berlingeri, «un pezzo se lo sono portato ieri e stasera portano via quell’altro». A questo punto piovono ipotesi tra cui anche quella di una “collaborazione interna” della cooperativa ma, soprattutto, di una fuga di notizie interna all’insediamento rom. «Da noi, da noi non sta uscendo niente» spiega Ciccio. «Eh però – ribatte Romagnosi – però è uscito da voi, non da voi, di uno di voi due, da voi è uscito che sono venuto lo da voi, dagli zingari (…) scusami il termine».
Gli inquirenti comprendono, quindi, che Francesco Pesce aveva incaricato di compiere lo stesso furto ad un esponente della comunità Rom di Rosarno. I Pesce, dunque, avrebbero avuto la meglio soprattutto per quella “competenza” territoriale, una regola da rispettare per non rischiare di innescare ritorsioni incontrollabili. Il 14 dicembre 2020 Romagnosi, Ciccio “U Catanisi” e Cosimo Belingeri analizzano la vicenda, convenendo sul fatto che «Mimmo Delisi», cugino di Francesco Bevilacqua ed esponente della comunità stanziale degli zingari di Rosarno, era stato ingaggiato da Francesco Pesce “’U Pecora”, reggente della omonima ‘ndrina rosarnese, per effettuare la medesima attività criminale programmata da loro, ovvero il furto delle macchine industriali dello stabilimento. «Ciccio Pesce lo ha mandato lui! E sono venuti da noi tutte e due, come possiamo fare? Gli ho detto se è possibile Io facciamo però ho detto com’è il fatto, gli ho detto io a lui, com’è qua? Gioia o Rosarno? Non è che…» «è stato questo il discorso, mio cugino è venuto da noi, dice “dovete fare questo lavoro così così così”, noi abbiamo preso e abbiamo detto ma ferma! Perché sono insieme, rosarnese e gioitano sono insieme, questo è stato». (g.curcio@corrierecal.it)
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