BOLOGNA Intralcio alla giustizia e utilizzazione segreto d’ufficio. Con queste ipotesi di reato la Procura della Repubblica di Reggio Emilia ha chiesto il rinvio a giudizio di un avvocato. Il 4 luglio scorso, nell’ambito del processo “Grimilde”, scaturito da un’operazione della Dda di Bologna, il professionista, difensore di alcuni imputati, avrebbe più volte incalzato un collaboratore di giustizia sottoposto a un programma speciale di protezione, chiedendogli di dare le sue attuali generalità. L’avvocato avrebbe insistito nonostante l’opposizione dell’accusa che riteneva la domanda non pertinente ai fatti del processo. Il legale avrebbe comunque affermato di conoscere la nuova identità del pentito. Le domande poste dall’avvocato, secondo la procura, riguardavano direttamente i profili di sicurezza del collaboratore di giustizia e i suoi familiari che neanche la magistratura è tenuta a conoscere essendo di competenza del ministero dell’Interno. Inoltre, secondo l’ufficio di procura, il fatto che l’avvocato dicesse di conoscere le nuove generalità del teste, oltre a configurare il reato di utilizzazione di segreto d’ufficio, avrebbero avuto l’effetto di intimidire il testimone. Il servizio centrale di protezione della direzione centrale della polizia criminale del ministero dell’Interno, in conseguenza delle affermazioni dell’avvocato, ha dovuto modificare il dispositivo di protezione. Protagonista della vicenda è un avvocato del foro di Bologna. Il processo “Grimilde” riguarda le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia e in particolare nella zona di Brescello, nel Reggiano, unico comune della storia a essere stato sciolto per mafia nella regione. Il processo si concluse con una condanna a 19 anni e sei mesi a Francesco Grande Aracri, 12 anni al figlio Paolo, nove condanne a vari personaggi con pene comprese tra i sei anni e quattro mesi e un anno e quattro mesi e cinque assoluzioni.
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