LAMEZIA TERME Domenico Guastalegname, 29 anni, è il figlio di Antonio Guastalegname, 55 anni. Sono originari di Vibo Marina ma si sono trasferiti da anni in provincia di Asti. Non hanno rescisso i contatti con la terra d’origine e in particolare mantenevano rapporti con le consorterie vibonesi per il traffico di droga e di armi.
Entrambi sono stati coinvolti nell’omicidio di un tabaccaio di Asti durante una rapina avvenuta il 19 dicembre 2014. Sono stati condannati in via definitiva a 30 anni di reclusione insieme a Giuseppe Antonio Piccolo (anche lui vibonese) e ad altri due del posto, Fabio Fernicola e Jacopo Chiesi.
Il padre è imputato nel processo Rinascita Scott con l’accusa di associazione mafiosa, ha cominciato a collaborare a gennaio 2022. Anche Domenico Guastalegname, dal 15 settembre 2022, ha cominciato a parlare con i magistrati della Dda di Catanzaro. E oggi è stato sentito nell’aula bunker di Lamezia Terme nel corso del processo Rinascita Scott.
La prima domanda che viene posta a chi intende collaborare è di confessare i reati commessi. Domenico Guastalegname si è autoaccusato di narcotraffico e di reati in materia di armi. Ma non dell’omicidio del tabaccaio di Asti Manuel Bacco. «Nella vicenda dell’omicidio – dice rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci – io e Jacopo Chiesi non c’entriamo niente».
Domenico Guastalegname lo dice chiaramente: «Ho deciso di collaborare perché sono giovane, ho una vita davanti, posso ancora farmi un futuro. Ho dei figlio che non ho visto nascere». Ha cominciato a collaborare quando la sua condanna per l’omicidio era già diventata definitiva e per quanto riguarda droga e armi (i reati di cui si accusa) non aveva procedimenti a suo carico. Spiega che nella rapina che ha portato alla morte di Manuel Bacco sono coinvolti suo padre, Fabio Fernicola e Giuseppe Antonio Piccolo, il vero esecutore materiale dell’omicidio (che viene imputato a Chiesi).
Racconta di avere capito che suo padre voleva collaborare «quando ha detto che voleva parlare con la procura di Asti per chiarire la storia dell’omicidio. Ma nessuno è venuto a sentirlo».
A Vercelli, dove erano detenuti, gli rinvengono dei telefonini e questo porta al loro trasferimento nel carcere di Biella dove si trovava anche Jacopo Chiesi. «Noi avevamo divieto di avvicinamento con Chiesi – spiega Guastalegname – ma mio padre venne a sapere che stava male per via della condanna e aveva tentato di impiccarsi. Questo determinò Antonio Gustalegname, dice il figlio, a rompere gli indugi.
Anche Domenico Guastalegname aveva tentato di parlare riguardo alla vicenda dell’omicidio ma tentennava perché «non è facile accusare un padre e nemmeno accusare uno come Piccolo che è stato l’esecutore materiale dell’omicidio, un personaggio di spicco della criminalità organizzata. Apparteneva alla famiglia Mancuso e a Nazzareno Colace. Era un malandrino». A marzo 2019 Domenico Guastalegname tenta di parlare con durante un interrogatorio ma, racconta, non ce la fa a essere incisivo e determinato, dà delle indicazioni o, per usare le sue parole: «Ho espresso un mio pensiero». Fatto sta che «dopo qualche mese sono arrivate delle minacce, per telefono, a mia madre nelle quali si faceva anche il nome di mio figlio». Attualmente su questo episodio c’è un procedimento penale aperto. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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