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il processo

Donata Bergamini: «Internò ci disse “me lo dovranno dimostrare che non dico la verità”» – VIDEO

Drammatica testimonianza della sorella dell’ex calciatore del Cosenza. Sarà risentita il 31 marzo. In aula l’apertura delle scatole con gli oggetti personali di Denis

Pubblicato il: 23/03/2023 – 17:36
di Francesco Veltri
Donata Bergamini: «Internò ci disse “me lo dovranno dimostrare che non dico la verità”» – VIDEO

COSENZA «Qualche giorno dopo la morte di mio fratello, Isabella Internò chiamò a casa dei miei genitori per dirci che la Maserati doveva restare a lei, secondo il desiderio di Denis. Mio padre le rispose che se gli avesse detto tutta la verità, di Maserati gliene avrebbe date due. Lei rispose “me lo dovranno dimostrare che non dico la verità”». È uno dei passaggi della lunga testimonianza rilasciata oggi in Corte d’Assise a Cosenza da Donata Bergamini, sorella dell’ex calciatore del Cosenza morto a Roseto Capo Spulico il 18 novembre del 1989. La presenza nel processo di quella che può essere considerata a tutti gli effetti un simbolo di resistenza e caparbietà, com’era prevedibile ha richiamato in città tutta la stampa nazionale, a cui Donata Bergamini, al termine dell’udienza, ha rilasciato una breve dichiarazione, parlando di dolore grande che «ha portato me e la mia famiglia all’ergastolo, per quel magistrato che non ha voluto scrivere la verità». Un dibattimento, quello di oggi, non ancora concluso. Il prossimo 31 marzo e il 4 aprile, infatti, la sorella di Denis Bergamini continuerà a rispondere alle domande del pm Luca Primicerio, per poi proseguire con quelle della parte civile e della difesa di Isabella Internò, assente ancora una volta in aula.

L’arrivo di Donata Bergamini al tribunale di Cosenza

La telefonata del 13 novembre 1989 che fece sudare Bergamini

Donata Bergamini in poco più di quattro ore, ha ripercorso i momenti che hanno preceduto la tragedia del novembre del 1989, fino ad arrivare ai giorni immediatamente successivi la morte del fratello. «L’ultima volta che ho visto Denis ha detto – è stato il 13 novembre, dopo la partita del Cosenza a Monza, e alla mia richiesta di informazioni sul suo rapporto con Isabella Internò, lui mi rispose “me la trovo dappertutto, è come l’Attak”. Quello stesso giorno a casa di mio padre, ricevette una telefonata che lo agitò molto. Al primo squillo del telefono, lui disse “è mia”, come se sapesse già chi stava telefonando. Tornò tutto rosso in viso e con le bollicine di sudore sulla fronte. Mio padre vedendolo in quello stato, gli consigliò di togliersi il maglione ma Denis gli rispose “non è il caldo, sono altri i problemi”. Martedì, il giorno dopo, papà lo accompagnò a Imola perché doveva rientrare a Cosenza. Mi disse che Denis non era più agitato».

Il lungo viaggio e l’arrivo a Roseto Capo Spulico

La sera del 18 novembre, Donata Bergamini si trovata a casa di amici per cena. «Arrivò il mio ex marito (Guido Delle Vacche, ndr) – ha ricordato la teste –, era pallido in volto, mi disse di prepararmi a partire subito perché Denis aveva avuto un incidente. Viaggiammo noi due più mia madre e mio padre Domizio che a un certo punto mi disse “Denis non lo rivediamo più”. Poi ci rivelò che aveva saputo che mio fratello si era buttato sotto un camion e con lui c’era Isabella Internò. In quel momento ricordo che mi ritornò in mente la frase di Denis di pochi giorni prima, “me la ritrovo dappertutto, è come l’Attak”. Arrivati in caserma a Roseto, il piantone ci disse che dovevamo recarci in ospedale a Trebisacce. In noi c’era ancora la speranza di vedere Denis vivo, ma arrivati sul posto capimmo da uno sguardo che il centralinista fece a un’infermiera, che era morto. Ci dissero che ancora non era possibile vederlo e allora tornammo in caserma per parlare con il brigadiere Barbuscio. Lì il piantone ci disse che il brigadiere ancora non era arrivato perché si stava facendo la barba. Pensai a noi quattro che ci eravamo fatti mille chilometri di corsa e il brigadiere che si stava facendo la barba». Una volta arrivato, Barbuscio volle parlare solo con Domizio, il padre del calciatore rossoblù. «Uscì dopo poco tempo – ha dichiarato Donata Bergamini –in mano aveva l’orologio di Denis e una busta gialla con all’interno il portafoglio, una cartolina di Budapest, un biglietto per Londra, il numero di telefono di Storgato (ex calciatore del Cosenza, ndr), un assegno da 500-600mila lire, una marca da bollo e un dollaro. Barbuscio teneva in mano una foto del camion e sullo sfondo un puntino nero, era Denis. Il bragadiere aveva detto a mio padre che mio fratello si era suicidato perché era stanco del calcio e voleva andare a Taranto per partire per la Grecia. L’orologio funzionava perfettamente e questo ci sembrò subito strano perché ci era stato detto che Denis era stato trascinato dal camion per sessanta metri». A quel punto la famiglia Bergamini chiese di essere portata sul luogo della tragedia, «c’era qualcosa che non ci convinceva nella ricostruzione che ci era stata fatta. Barbuscio – ha continuato la testimone – non voleva portarci sul posto, poi però, dopo le nostre insistenze, si convinse e disse al piantone “andiamo che questi vogliono andare sulla piazzola”. Uscendo dalla caserma abbiamo visto la Maserati di Denis, era pulita. Ricordo che la piazzola era enorme, nella parte finale era piena di sassi e sterpaglia, era impossibile attraversarla con l’automobile come ci era stato detto. Il nostro dolore era grande ma sentivamo che qualcosa non quadrava. Il giorno dopo tornammo sul luogo, pioveva, c’era fango. Nessuno ci disse dov’era stato trovato Denis. Allora papà decise di andare via, mi disse “tanto qui non impareremo niente”. Tornando in caserma trovammo ancora la Maserati lì, pulita, nessuna traccia di fango neanche sul tappetino».

Il viso intatto di Bergamini e l’autopsia da non fare in Calabria

All’ospedale di Trebisacce c’erano il presidente del Cosenza calcio Antonio Serra e il direttore sportivo Roberto Ranzani. Furono loro a vedere per primi il corpo di Bergamini. «Papà – ha detto ancora Donata Bergamini – era convinto che il corpo fosse distrutto visto che ci avevano detto che era finito sotto un camion, ma quando Serra e Ranzani sono usciti dalla sala mortuaria, ci hanno rivelato che il viso di Denis era intatto e potevamo vederlo. Allora entrai e mi sentii male. Il viso effettivamente aveva solo una macchia tonda sulla fronte. Invitai i miei genitori a fare lo stesso, gli dissi “sembra che sta dormendo”. Quando l’infermiere si allontanò, alzammo il lenzuolo e scoprimmo che mio fratello aveva le calze alzate e un sacco che gli copriva le parti intime. Non vedemmo il torace perché poi tornò l’infermiere. Non c’erano le scarpe e i vestiti e non ci li diedero. Ranzani ci disse che bisognava fare l’autopsia, ma il procedimento richiedeva la nostra permanenza a Cosenza e allora decidemmo di partire. Il clima era troppo pesante da sopportare, e comunque la nostra intenzione era di non fare l’autopsia in Calabria perché non ci fidavamo più di nessuno. Successivamente papà chiese di fare l’autopsia al procuratore Abbate, ma tutto finì lì».

L’aborto al quinto mese e mezzo di gravidanza

Donata Bergamini, su richiesta del pm, ha parlato anche di un episodio del 1987. «Denis – ha rivelato la donna – arrivò a casa mia ammettendo di aver bisogno del mio aiuto perché Isabella Internò gli aveva svelato di essere incinta di cinque mesi e mezzo. Lui però non si fidava. Poi arrivarono insieme a casa mia e lei mi disse subito che voleva abortire. Era molto piatta, non sembrava incinta di cinque mesi, stentavo anch’io a crederle. Le chiesi “come mai te ne sei accorta adesso?”, e lei mi rispose che non aveva dato peso al ciclo irregolare e non se n’era accorta. Andammo dal mio ginecologo che confermò la gravidanza e disse che in Italia non avrebbe potuto abortire, allora lei rispose con sicurezza che lo avrebbe fatto a Londra grazie all’aiuto di una zia di Torino (Assunta Trezzi, ndr) che aveva contatti col partito radicale. Sembrava una pazza, non voleva assolutamente tenerlo il bambino. In macchina le consigliai di non abortire ma lei rispose che non poteva fare altrimenti perché Denis non voleva sposarla, anche se più volte mio fratello le aveva assicurato che era pronto a riconoscere il bambino. Tornati a casa abbiamo chiamato la zia della Internò a Torino, le ho parlato anch’io. Mi disse che la nipote era troppo giovane per avere un figlio e doveva continuare gli studi. Ma poi aggiunse “suo fratello non la sposa ed è un disonore tenere il bambino”. Anche questo episodio mi tornò in mente il 18 novembre durante il viaggio verso la Calabria. Denis mi disse di non parlare di quella vicenda con nostro padre, ma io lo feci e da allora mio fratello, arrabbiato, mi giurò di non raccontarmi più nulla della sua vita sentimentale».

L’apertura in aula della scatola con gli oggetti personali di Bergamini

Durante l’udienza, su richiesta del pm Luca Primicerio, è stata portata in aula e riaperta la scatola con all’interno gli oggetti personali di Bergamini (la catenina, il portafogli, le scarpe, l’orologio, e altro) e sono stati mostrati a Donata, apparsa chiaramente commossa, per il riconoscimento. «Ricordo che quando lessi il verbale di restituzione degli effetti personali – ha affermato la teste – non risultava l’orologio. Lo feci notare al brigadiere Barbuscio che mi rispose “non fa niente”. Le scarpe ce le restituì Ranzani, diceva che gliele aveva date Mimmolino Corrente (tuttofare della società silana, ndr) che poi avrebbe voluto parlarci a fine campionato. Ma morì prima in un incidente stradale». Domenica sera, dopo la tappa in ospedale, la famiglia Bergamini si recò al Motel Agip, sede del ritiro pre-partita della squadra rossoblù. Ci raggiunsero i compagni di squadra di Denis, Padre Fedele, Isabella Internò e i suoi genitori. Le chiesi di raccontarmi cosa era accaduto a Roseto e lei rispose che Denis le aveva sorriso guardandola negli occhi, le aveva rivelato che voleva lasciare il calcio e andare all’estero, per dirle infine “ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo”. Poi si era avvicinato alla strada facendo l’autostop con cinque macchine. Subito dopo si era buttato sotto il camion. Mio padre a quel punto le chiese se era stata lei a chiamarlo a casa nostra il 13 novembre ma, stranamente, intervenne il padre dicendo “lei proprio no”. Ma come faceva il padre della Internò a sapere che non era stata lei? Ogni volta che provavo a chiedere dettagli più precisi, la Internò rispondeva come un disco, senza rispondere veramente». Nell’appartamento di Città 2000 che Bergamini condivideva a Cosenza con Padovano, la famiglia Bergamini trovò nel cassetto della camera da letto alcune cartoline e le carte d’identità del calciatore e di Isabella Internò. Domenica sera i Bergamini cenarono insieme alla squadra al Motel Agip. «Arrivò anche Gianni Di Marzio – ha ricordato Donata Bergamini – che non era più l’allenatore del Cosenza. Era inferocito, diceva che Denis era stato ucciso e bisognava fare l’autopsia e prendere i vestiti. Il giorno dopo, era lunedì, restituii alla Internò il suo documento che avevo trovato nel cassetto. Arrivò al Motel con due amiche e non diede importanza alla carta d’identità. Mi disse che quel documento era sbagliato. Continuava a non rispondere alle nostre domande. Al funerale, appena entrati in chiesa, la trovammo poggiata sulla bara. Mia madre esclamò: “dovrei esserci io al suo posto”. Ho cercato di tenerla il più possibile accanto a me, volevo che mi spiegasse quello che era accaduto, ma poi l’ho persa di vista. La sera siamo partiti per tornare a casa, con noi è venuto anche Padre Fedele, il suo desiderio era quello di celebrare il funerale anche nel nostro paese. In un autogrill vedemmo che in televisione, al “Processo del lunedì”, stavano parlando del caso facendo vedere le immagini del luogo della tragedia con il punto esatto in cui Denis era stato trovato. C’era una macchia scura sull’asfalto e a noi non era stato permesso di vedere nulla. Padre Fedele provò a contattare l’ospedale per chiedere l’autopsia, ma non trovò il numero di telefono, eravamo già fuori dalla Calabria». Successivamente i Bergamini riuscirono a contattare l’ospedale per chiedere la restituzione dei vestiti, ma era troppo tardi: erano stati bruciati. Al funerale si presentò Roberta Sacchi, la fisioterapista di Bergamini con cui il calciatore aveva stretto un rapporto speciale. «Denis me ne aveva già parlato – ha affermato Donata Bergamini – poi l’ho incontrata successivamente. Era stata a Monza per la partita del Cosenza e Denis le aveva garantito che aveva lasciato da tempo Isabella Internò». Donata Bergamini ha parlato anche di Roberta Alleati e di una sua lettera giunta quattro giorni dopo la morte del calciatore: «ci diceva che Denis le aveva confidato che qualcuno a Cosenza gli voleva male e il suo unico torto era stato quello di lasciare Isabella Internò». La sorella di Bergamini ha rivelato anche alcuni particolare del suo colloquio con il procuratore di Castrovillari Ottavio Abbate. «Non mi faceva parlare – ha sottolineato la donna – mi interrompeva continuamente. Voleva che confermassi la teoria del suicidio. Mi chiese: “Se si è suicidato, secondo lei lo ha fatto per l’aborto, per il totonero o per la droga?”. Io gli risposi che mio fratello non si era suicidato ma lui ribattè dicendo “lo sappiamo, ma qui siamo in Calabria”. Continuava a parlarmi del suicidio e allora io gli risposi che se Denis si fosse suicidato per davvero, lo avrebbe fatto solo per amore e non per altro».

La telefonata di Isabella Internò e la Maserati

Pochi giorni dopo la morte di Bergamini, Isabella Internò chiamò a casa dei genitori di Donata. «Ci informò – ha evidenziato la teste – che la Maserati doveva restare a lei, secondo il desiderio di Denis. Mio padre le rispose che se gli avesse detto tutta la verità, di Maserati gliene avrebbe date due. Lei rispose “me lo dovranno dimostrare che non dico la verità”. Era strana, si comportava con distacco come se la cosa non la toccasse minimamente». Durante l’udienza è stata ricordata anche la figura di Giuliana Tampieri, che lavorava in un ristorante del paese della famiglia Bergamini. Il calciatore dopo Monza-Cosenza, si fermò a Milano con la ragazza «ma non per andarci a letto – ha chiarito Donata – questo me lo confermò anche Denis. Mi parlò solo di una forte amicizia». Alla testimone di giornata sono stati mostrati anche gli schizzi effettuati da Padre Fedele sul luogo della tragedia («volevamo dimostrare che l’ultimo tratto della piazzola non era percorribile dalla Maserati, così come era impossibile il trascinamento del corpo per sessanta metri»), alcune copie di cartoline e lettere spedite da Isabella Internò e Roberta Sacchi a Bergamini, documenti bancari e assegni. Prendendo spunto dall’infortunio del gennaio 1989 che bloccò Bergamini per qualche mese, Donata è tornata a parlare della fisioterapista di Pavia e del successivo mancato trasferimento del fratello al Parma di Nevio Scala. «Stava per trasferirsi in quella squadra – ha ricordato – ma una telefonata del Cosenza cambiò tutto. Gli offrirono un ingaggio superiore e accettò, anche perché dopo l’infortunio sapeva che a Parma avrebbe fatto panchina mentre a Cosenza no. Inoltre sentiva un forte debito di riconoscenza verso la città e la tifoseria. Lui amava tanto Cosenza e ho capito il perché soltanto molto tempo dopo la sua morte. In questa città c’è un ambiente caldo. Ma il problema non era il calcio, questo io l’ho sempre saputo».

La dichiarazione di Donata Bergamini dopo l’udienza

Donata Bergamini, suo figlio Denis e l’avvocato Fabio Anselmo

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