ROMA “Noi vogliamo iniziare il processo. Vogliamo che ci sia una elezione domicilio in Italia e che il processo possa svolgersi in Italia per dare agli italiani una prospettiva futura di giustizia”. A dirlo, Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio, il dottorando italiano ucciso in Egitto a gennaio 2016, intervenendo a Propaganda Live su La 7. “Giulio era un ricercatore che stava svolgendo il suo progetto di ricerca al Cairo e lo stava portando a termine, dato che doveva rientrare a marzo – ricorda Paola – invece non è riuscito a rientrare dal Cairo perché la sera del 25 gennaio non ha fatto ritorno a casa e per nove notti e nove giorni è stato torturato e ucciso deliberatamente. Da qui inizia il nostro essere genitori erranti per la verità e la giustizia. Non è facile e sono 7 anni abbondanti che dobbiamo chiedere verità e giustizia. Ormai una parte della verità l’abbiamo capita e vogliamo un processo”. Claudio Regeni sottolinea che ora l’elezione di domicilio in Italia per i 4 funzionari ritenuti dalla procura di Roma responsabili della morte del dottorando è possibile grazie alla riforma Cartabia. “Da cittadini pretendiamo inizi il processo – dicono – non è un affare di famiglia. Dal 7 novembre scorso, quando il premier Giorgia Meloni è andata alla Cop27, continuiamo a sentire che l’Egitto vuole collaborare, rimuovere gli ostacoli. Ci siamo chiesti quali ostacoli vuole rimuovere e a volte ci siamo chiesti se siamo noi l’ostacolo. Sono settimane che il nuovo ambasciatore egiziano è a Roma e gli abbiamo inviato una richiesta di incontro ma non ha avuto occasione di risponderci almeno per educazione”. “In questi 7 anni noi italiani abbiamo cambiato 6 governi e ogni governo si è collocato o non collocato in modo efficace rispetto le azioni da compiere – spiegano – dalla Cop27 ormai siamo superamici dell’Egitto. Il Governo dovrebbe insistere su questa elezione di domicilio che permetterebbe l’inizio del processo. Il quadro è complesso, e non sappiamo che collaborazione il presidente Al Sisi ha promesso ai nostri politici. Il nostro passaporto ci porta in tantissimi paesi, ma non è detto che ti riporta a casa”. Il 3 aprile c’è udienza gup, concludono, e “avevamo chiesto che Tajani e Meloni venissero a riferire sulla collaborazione. Non verranno. Invitiamo tutti a farci compagnia prima di entrare dentro. Se la premier e il ministro hanno un ripensamento, li accoglieremo volentieri”.
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