La rivoluzione è dietro l’angolo. Anzi, nei centri più avanzati è già realtà: produce risultati, ricerca e una nuova speranza per gli ammalati di tumore. La genomica è diventata un passaggio obbligato nella cura delle patologie oncologiche. Non è una novità che la Calabria non sia tra i centri più avanzati. Dopo i guasti del Piano di rientro, con una sanità spolpata e da rifondare, si muovono i primi passi anche in questo campo con l’istituzione del “Molecular Tumor Board”, modello multidisciplinare e personalizzato per le cure. È un primo step: servirà tempo per recuperare i ritardi accumulati. Ciò che altrove è (o sta diventando) norma, qui appare frontiera avanzata. La normalità – il «non si può fare a meno della genetica» – emerge dal racconto di Giuseppe Novelli.
Quello di Novelli – 64 anni, rossanese di origini – è il profilo di un’eccellenza nel proprio settore di ricerca. Le sue pubblicazioni hanno ricevuto oltre 20mila citazioni e il suo nome è fra i Top Italian Scientists. Ex rettore dell’ateneo di Tor Vergata, genetista di fama internazionale, Novelli, ha fatto parte del Consiglio direttivo dell’Anvur dal maggio 2011 al maggio 2013. A Rossano è tornato ieri per una conferenza sulla genomica. Il Corriere della Calabria lo ha sentito per provare a comprendere quali sia il ruolo della ricerca riferita alla genetica nel trattamento delle patologie tumorali.
«I centri di oncologia più avanzati nel mondo ormai non possono fare a meno della genetica, su questo non c’è dubbio – esordisce –. Una volta, quando si doveva accertare un tumore, le analisi che si facevano erano strumentali, istologiche, cellulari. Adesso la prima cosa che si chiede sono testi genetici fatti bene e soprattutto interpretati bene. La difficoltà non è fare il test, tutti sono in grado di effettuarlo: oggi, addirittura, ci sono strumenti e società private che analizzano il Dna in pochissimo tempo. Il problema è l’interpretazione, perché è cambiato il paradigma dei tumori. Non esistono più il tumore della mammella o il tumore del fegato com’erano intesi un tempo, quando c’erano la chemioterapia o la radioterapia per tutti: ecco, questo tempo è finito». Dalla sua postazione di scienziato, a Novelli questo approccio appare quasi scontato. «Non esiste la malattia in senso lato – dice –, ma esiste il malato; la genetica ha permesso di scoprire che ogni tumore è differente da un altro, ogni paziente ha un tumore diverso da un altro. E quindi l’unico modo per cercare di capire e di mirare le terapie giuste e fare anche delle prognosi corrette è l’analisi del genoma, del tumore e del paziente che “contiene” il tumore».
«Quando un paziente si ammala di tumore – spiega il professore – siamo sempre davanti a un Dna alterato. Non c’è un tumore per il quale non vi sia un’alterazione del genoma, cioè del Dna: non esiste». Novelli focalizza l’attenzione anche sul Dna non alterato: «Vi sono, ovviamente, le cellule sane che hanno un Dna normale. È importante studiare anche questo Dna normale». In questo senso lo studio del genoma può «aiutare tantissimo. In molti casi esistono quelli che noi chiamiamo i geni predisponenti al tumore. Ci sono persone – spiega il docente – che sviluppano uno o più tumori. Prendiamo le malattie oncologiche che si manifestano in età giovanile: le persone che le sviluppano hanno una base genetica che facilita poi lo sviluppo dei tumori, per così dire, tradizionali degli adulti. Spesso l’alterazione del tumore è conseguenza di una mutazione che si ha sul Dna normale. Ci sono pazienti che possono avere una sorta di predisposizione, chiamiamola così, a mutare». «Perché ci si ammala di cancro?», si chiede Novelli. «Noi – argomenta – sviluppiamo tutti i giorni cellule tumorali che vengono eliminate dal nostro sistema di riparazione. Abbiamo un sistema di riparazione efficientissimo che ripara il Dna alterato. Ma se in questo sistema – immaginiamolo come una macchina – c’è un freno che non funziona, la macchina che fa? Va veloce. Cioè il tumore va veloce, cresce, non viene eliminato».
Per questa ragione «è importante studiare questi geni che oggi si possono analizzare. Bisogna poi individuare chi deve fare questi test: sono quelli che noi chiamiamo soggetti a rischio. E chi sono i soggetti a rischio? Quelli in cui in famiglia c’è familiarità per cancro, quindi precedenti di tumori diversi, a età diverse, in situazioni diverse. Quelli, ad esempio, che manifestano un tumore in età giovanile, quelli che hanno avuto un fratello, una mamma, un padre, che hanno sviluppato un tumore diretto in età giovanile». Poi c’è il caso di chi lavora in un ambiente a rischio: «Tutti ricorderanno – ragiona Novelli – che c’erano i lavoratori dell’eternit in Italia: l’eternit è considerato un fattore di rischio per i tumori dei polmoni, in particolare un tumore rarissimo che si chiama Mesotelioma. Noi oggi sappiamo perché l’eternit faceva venire il tumore: perché ci sono persone che hanno una mutazione in un gene che si chiama BAP1 che predispone, quando tu sei a contatto con l’eternit, a sviluppare un mesotelioma. Oggi siamo in grado di scoprire quali sono i soggetti a rischio per questa patologia tumorale».
Quanto pesa oggi, la ricerca, la genomica, la biologia rispetto all’approccio storico alle patologie tumorali? «Tantissimo – spiega Novelli –. Non c’è un collega chirurgo o oncologo che non chieda un test generico. Accade nell’analisi dei tumori più maligni, come il glioblastoma o i tumori del cervello: oggi vengono studiati a tutti i livelli, non solo nella predisposizione, cioè nei pazienti sani. Ormai non si dice più “questo paziente ha un glioblastoma di tipo 4”. Non vuol dire niente se non si analizza quali geni siano mutati. Con questo approccio cambia tutto, perché in base al gene mutato puoi trovare il farmaco giusto da somministrare alla giusta persona, noi oggi lo facciamo».
Altro capitolo della rivoluzione (e altro passo da implementare, necessariamente, per la sanità calabrese): la farmacogenetica. Novelli ne spiega l’importanza con un esempio che trae da una lezione conclusa poco prima del colloquio con il Corriere della Calabria. «Ieri – ricorda – ho chiesto ai miei specializzandi quali siano le domande che pongono sempre come medici? Poi le ho elencate: perché alcuni individui si ammalano e altri no? Perché in alcuni la terapia funziona e su altri no? Perché su alcuni la terapia giusta, presenta gli eventi avversi? In queste tre domande c’è tutta la medicina dell’uomo. Da quando è nata, la medicina cerca di rispondere a queste domande. Oggi noi abbiamo la risposta a queste domande che si chiama genomica. Attraverso il genoma siamo in grado di dire chi è predisposto a sviluppare la malattia e chi no. Poi con la farmacogenetica si stabilisce se su quella persona il farmaco funziona o, addirittura può far male (e di conseguenza gliene si prescrive un altro). Questo ci dice la farmacogenetica».La speranza si traduce nelle parole di un luminare calabrese. In attesa che questo approccio diventi la normalità (anche) in Calabria. (redazione@corrierecal.it)
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