Salvatore Bennardo oggi avrebbe sessantuno anni. Se fosse vivo. Ma quarant’anni fa, in una terribile estate della coda di guerra all’interno della malavita cosentina, qualcuno lo uccise.
Per sbaglio. Perché somigliava a un esponente di quelle famiglie che pur non essendo praticamente mafiose sono state più volte riconosciute come tali dalla Cassazione.
Salvatore era un ragazzo bellissimo. Giocava bene a calcio, fra Ternana e Morrone.
In quella calda estate festeggiava lo scudetto della Roma, suonando a palla la canzone celebrativa scritta da Antonello Venditti.
In quella strada per San Fili fu commesso un altro terribile “errore”, due anni dopo l’omicidio di un altro Salvatore , Molinaro, anche lui caduto, a corso Plebiscito , per la sola colpa di trovarsi nei luoghi in cui fu ucciso Carletto Rotundo.
Perché tra il 77 e gli anni ottanta ci furono stagioni terribili in città con un morto ammazzato ogni dieci giorni e il coprifuoco generale.
La storia di Salvatore Bennardo è stata ripescata qualche mese fa da Simona Loizzo, che chiese al sindaco di Cosenza di intitolargli una strada.
Ora la famiglia Bennardo chiederà al Ministero degli interni il riconoscimento di vittima innocente di mafia . Lo farà nella procedura prevista, al Prefetto di Cosenza e poi al Ministero degli interni sperando di non dover sopportare il calvario degli eredi di Mario Dodaro che hanno visto riconoscersi il diritto solo dalla giustizia.
Certamente Wanda Ferro, con la sua sensibilità, seguirà la vicenda. Insieme a magistrati, poliziotti, direttori carcerari, imprenditori, giornalisti , politici, sacerdoti, in quegli anni terribili caddero anche persone colpite solo per omonimia, somiglianza fisica o perché si trovavano al posto sbagliato.
Non furono meno vittime degli altri. E’ giusto che lo Stato li risarcisca dopo avere dovuto scendere a patti, attraverso leggi speciali, con pentiti che avevano sulla coscienza decine di morti e che oggi sono liberi.
Perché quelle vite spezzate meritano rispetto.
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