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‘Ndrangheta ed eversione, un nuovo maxi esposto sui delitti della Falange Armata

Stefano Mormile, fratello dell’educatore carcerari ucciso nel 1990: «Si torni a indagare sulla strategia per sovvertire le istituzioni»

Pubblicato il: 27/03/2023 – 19:50
‘Ndrangheta ed eversione, un nuovo maxi esposto sui delitti della Falange Armata

ROMA È questione di poche settimane, forse anche di giorni, e poi un maxi esposto-denuncia sarà depositato alla procura di Milano affinché indaghi, dandone «finalmente» una lettura unitaria e coerente, sugli attentati rivendicati dalla “Falange Armata” tra il 1990 e il 1994. È questa la prima, significativa, iniziativa che intenderà portare avanti l’Associazione “Parenti delle vittime della Falange Armata” presentata ieri a Roma e presieduta da Stefano Mormile, fratello di Umberto, la prima delle 51 vittime accertate e rivendicate da questa organizzazione terroristica che firmò, tra l’altro, la strage del Pilastro, alcuni delitti della Uno Bianca, le stragi di Capaci e via d’Amelio, e gli attentati del ’93 a Roma, Firenze e Milano. Rivendicazioni non sempre ritenute attendibili dagli inquirenti che hanno avuto il torto di non aver mai dato il giusto peso a quei numerosi comunicati che contenevano minacce di morte rivolte, dapprima, ad operatori carcerari e direttori di istituti penitenziari, e poi a presidenti della Repubblica, ministri ed esponenti di spicco della politica italiana.
Il voluminoso dossier che sarà trasmesso ai magistrati di Milano sarà curato, nella veste di consulenti della neonata Associazione, da Giovanni Spinosa, ex pm di Bologna, e da Giorgio Mezzetti, studioso del terrorismo di casa nostra, da sempre convinti della finalità eversiva di questa formazione.
Perché proprio Milano? Perché la “Falange Armata Carceraria” fece il suo esordio mediatico, attribuendosi il delitto di Umberto Mormile, il 37enne educatore penitenziario assassinato l’11 aprile del 1990 nei pressi di Carpiano mentre andava al lavoro. Un agguato eseguito e ideato dalla ‘ndrangheta. «La Falange Armata – racconta Stefano Mormile all’Agi – aveva pianificato da tempo la morte di mio fratello. Stando alle carte processuali e alle dichiarazioni di alcuni pentiti, Umberto si era probabilmente lasciato sfuggire di essere a conoscenza che nel carcere di Parma e poi in quello di Opera, dove stava prestando servizio, rappresentanti dei servizi segreti, in assoluta autonomia, erano soliti incontrare pezzi da novanta della criminalità organizzata. Ovviamente all’insaputa della direzione carceraria e dei magistrati. Per anni la Falange Armata è stata fatta passare come una banda di cialtroni e di mitomani che rivendicavano, a volte anche a distanza di mesi, attentati che hanno rischiato di mettere in crisi la stabilita’ politica del nostro Paese. Io per primo – ammette Stefano – ho sottovalutato questa organizzazione fino a quando ho incontrato per caso le persone giuste che avevano chiavi di lettura del fenomeno completamente diverse dalla mie: tra queste, cito l’avvocato Fabio Repici e il magistrato Spinosa che ha indagato sulla Uno Bianca. Loro non si sono accontentati di “leggere” i comunicati della Falange Armata, a volte scarni e a volte incomprensibili, ma mettendo insieme i vari pezzi del mosaico hanno capito che gli attentati di quegli anni Novanta avevano tutti un filo comune, un’unica regia, finalizzata a modificare alcuni assetti istituzionali dell’Italia».
«Alcune procure, come quella di Milano e quella di Reggio Calabria – spiega Stefano Mormile -, si sono attivate per cercare di dare una visione d’assieme a singoli episodi apparentemente sganciati l’uno dall’altro, altre, però, non hanno fatto nulla. Eppure, basta leggere con attenzione i documenti per capire come ci fosse un chiaro disegno eversivo portato avanti dalla Falange Armata che ha arruolato tutte le associazioni criminali più potenti con la complicità di pezzi della massoneria e militanti del terrorismo nero. Da un documento del 9 agosto del 1993 risulta che l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, commentando le bombe di Roma e Milano di due settimane prima, nell’ambito di un comitato sulla sicurezza, parlò espressamente di Falange Armata e di eversione».
«Ha ragione Salvatore Borsellino – precisa ancora Stefano Mormile – quando dice che il varo di questa Associazione è davvero l’ultima occasione per avere verità e giustizia. Noi familiari delle vittime ce la metteremo davvero tutta perché sia fatta luce su quegli anni. Mio fratello era un uomo retto e sensibile, affascinato dall’umanità che aveva scoperto in carcere dove, boss a parte, sono detenute persone che il più delle volte sono abbandonate a se stesse e dimenticate da tutti. Persone che lui cercava di recuperare alla vita incoraggiandole a leggere, a finire gli studi, a lavorare. Umberto era convinto che il teatro e la lirica potessero rappresentare delle occasioni di riscatto per chi era finito dietro le sbarre. Evidentemente questa visione del carcere trasparente, tipo palazzo di vetro, dove la cultura e il lavoro potessero migliorare la qualità di vita dei detenuti e dare un senso alla loro reclusione, non piaceva a chi terrorizzava le istituzioni e coltivava una strategia della tensione nascondendosi dietro gli apparati». (Agi)

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