«A furia di tagliare la sanità pubblica è messa seriamente a rischio», esordisce Riccardo Iacona nella puntata di Presa diretta intitolata “Salviamo la sanità pubblica”. La Calabria è una delle tappe dell’inchiesta che racconta la spoliazione del settore pubblico della salute. «C’è gente che rischia di non curarsi, questo rischio è già realtà e ve lo dimostro portandovi in provincia di Cosenza», così il conduttore introduce un viaggio negli inferi della sanità calabrese. Che si conclude con le parole di Rubens Curia, portavoce di Comunità competente: «In Calabria ci sono 90-100mila famiglie fuori dalla cura». «Su 2 milioni di abitanti – gli fa eco Iacona è un grande scandalo». Un esempio, ancora da Curia: «Qui la spesa odontoiatrica è bassa non perché abbiamo denti sani ma perché la gente non ha i soldi per curarsi». Altro caso: «Noi studiamo l’aspettativa di vita in buona salute: a 52 anni in Calabria si va verso cronicizzazioni, a Bolzano 69. Una differenza enorme che dipende da un fattore: in Calabria le persone devono scegliere se mangiare o farsi curare».
E per farsi curare sempre più spesso (per non dire sempre) sono costrette a rivolgersi al privato. Quello che Presa diretta racconta in provincia di Cosenza è quasi un viaggio nel nulla del sistema sanitario pubblico. Che parte dalle patologie neuropsichiatria:dopo la visita – racconta Laura De Franco, madre di un bimbo autistico – ci si ferma perché non c’è neanche il reparto. Si potrebbe «iniziare una terapia privata: si paga tutto». L’associazione “Gli altri siamo noi”, aiuta pazienti con disabilità di sviluppo di ogni genere. La sua presidente Adriana De Luca spiega che «il servizio psichiatrico infantile non esiste a Cosenza, c’è il vuoto assoluto non abbiamo le figure professionali nei servizi».
Giacomina Durante, invece, soffre di lupus. Per lei e gli altri malati di patologie reumatologiche il calvario è quotidiano: 517 giorni di attesa per una visita reumatologica, mentre «nel privato bastano in 10 giorni». Un calvario di polsi doloranti e spalle che non si muovono. Corpi da tenere sotto controllo mentre per una mammografia bisogna attendere cinque mesi, per una visita del fondo oculare addirittura otto. A Giacomina arrivano disperate richieste di aiuto. Sono quelle dei malati costretti a spostarsi a Bari, Bologna, Roma per l’impossibilità di ottenere una risposta dalle strutture della provincia. «Tutte le indagini sono a pagamento – le scrivono –, costano centinaia e centinaia di euro. Dovrò rinunciare a curarmi perché non ce la faccio più economicamente». Fabiola racconta la sua diagnosi arrivata troppo tardi: «Questo ritardo lo sto pagando tutto. Due anni fa correvo, oggi non riesco a camminare. Pensare di fare un’ecografia tra un anno è indecente, mentre per la Risonanza magnetica dovrò andare fuori». La stima di Giacomina Durante è tremenda: «Ci sono 200-250mila persone senza risposta sul territorio. Non capisco perché non scendiamo in piazza».
A Cosenza c’è poi, Oncomed, un servizio ideato da Francesca Caruso assieme a un gruppo di medici volontari. Storia iniziata in una sala d’attesa: «Accanto a me c’era ragazzo sposato. Mi disse “se avessi avuto 80 euro per una mammografia mia moglie non sarebbe stata qui”». A quel punto ha detto basta: non si può morire per una mammografia mancante. E così 16 specialisti della sanità pubblica calabrese hanno dato assistenza a 1200 pazienti e reso possibili 900 esami a persone uscite dalla cura. In tanti arrivano in uno stadio avanzato di malattia per i ritardi negli screening salvavita: «Qui siamo al 30% – dice Antonio Caputo –, in Emilia Romagna al 70%. Sono tempi che portano a ritardo diagnostico: nella nostra Asp bisogna attendere nove mesi per una colonscopia».
All’ospedale Annunziata, altra tappa del viaggio, mancano medici e infermieri al 50% in tutti i reparti. Vale per tutti i presidi della provincia di Cosenza. Fanno fatica a mandare avanti i Pronto soccorso.
Ma il caso di San Giovanni in Fiore è significativo di un doppio abbandono: quello della sanità pubblica e quello delle aree interne. Stefania Fratto e l’associazione “Donne e diritti” conoscono i problemi del territorio. «L’ospedale è stato svuotato così come la medicina del territorio». Ci sono poi le storie di chi non può curarsi in città perché non c’è il cardiologo: «Qui non c’è il servizio, a Cosenza non c’è posto, dobbiamo andare a pagamento e ci costa 200 euro. A Cosenza ci vuole uno o due anni per essere messo in lista». C’è chi dovrebbe fare una visita ogni sei mesi dopo un infarto e non riesce a controllarsi da due anni. Nel febbraio 2021 l’associazione ha condotto una battaglia per avere il mammografo a San Giovanni in Fiore. Ma oggi non c’è il radiologo e il macchinario si usa solo per gli screening, metre il referto va a Cosenza.
Le liste d’attesa infinite hanno conseguenze sulle vite dei pazienti: «Per un esame in ritardo ho dovuto subire una mastectomia radicale, hanno dovuto tagliare tutto perché siamo arrivati tardi», spiega una donna. Casa per casa, le telecamere di Presa diretta raccontano la disperazione in cui vengono lasciate decine di malati. Famiglie costrette a supplire alle carenze del sistema, figlie che vivono a contatto con l’abbandono a cui sono destinate le proprie madri.
Nessuna risposta per i problemi dei bimbi: seguiti a Roma al Bambino Gesù mentre qui gli esami si fanno solo privatamente, anche se si tratta di supporto psicologico. «Qui non possiamo fare niente perché non c’è niente», dicono.
Nelle aree interne muore la speranza nel sistema pubblico. A Mesoraca, nell’Alto Marchesato crotonese c’è un ospedale che a mano a mano è diventato Casa della salute: ora è poco o niente, da anni svuotato dei suoi servizi (foto sopra). Letteralmente, come testimoniano le immagini. «I macchinari ci sono ma non li fanno funzionare perché manca il personale», spiegano i cittadini. «L’elettroencefalo ancora imballato e tutti i servizi sono stati cancellati o ridotti ai minimi termini. Sulla carta c’è tutto, però hanno i medici hanno 2-3 ore ad ambulatorio e per una visita cardiologica si devono attendere almeno due anni». L’alternativa, nel vuoto della sanità pubblica è una sola: il privato. Per chi può permetterselo. Gli altri? Fuori dalla cura. E tutto intorno è solo silenzio. (ppp)
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