COSENZA Salvatore Muoio, Pierangelo Meduri, Cesare D’Elia, tre soggetti ritenuti vicini alla mala cosentina, tre destini diversi e uno “sgarro” in comune: il «sotto banco». Vendere droga di nascosto dal clan, senza versare i danari nella bacinella comune del “Sistema Cosenza”, può costare caro. Dura lex, sed lex. Si va dal pestaggio fino alle pallottole. Salvatore Muoio, pusher del centro storico della città dei bruzi, viene gambizzato perché aveva smesso di rifornirsi dal gruppo dei “Banana” preferendo altre fonti (qui la notizia). Pierangelo Meduri, invece, incrocia Nicola Abbruzzese responsabile – secondo quanto raccontato dal neo pentito cosentino Ivan Barone – di un’azione compiuta nei suoi confronti per punire lo spaccio di eroina sottobanco». Cesare D’Elia, infine, viene pestato «all’interno del magazzino di Fiore Bevilacqua detto “Mano mozza”». «A colpirlo saranno Maurizio Rango, Ettore Sottile, Antonio Abruzzese detto “Banana” perché vendeva eroina sottobanco». E’ lo stesso Barone a raccontarlo in un verbale reso il 6 settembre davanti al Pubblico Ministero Cubellotti, Sostituto Procuratore della Dda di Catanzaro.
«In quell’occasione – esordisce Barone – ero fuori dal magazzino, mentre avveniva il pestaggio. Insieme a me c’era Antonio Taranto. Ricordo che ho visto uscire dal magazzino D’Elia pieno di sangue e darsi alla fuga». Il pentito, sollecitato dalle domande, dice di aver visto «Rango impugnare un mattarello che avrebbe poi usato per colpire ripetutamente D’Elia». Non solo. Stando sempre alle confessioni di Barone, Maurizio Rango avrebbe manifestato l’intenzione di munirsi di una pistola per sparare nell’eventualità in cui la vittima del pestaggio avesse tentato la fuga. «La pistola alla quale faccio riferimento era occultata in una intercapedine del porticato che si trova nei pressi del magazzino di “Mano Mozza”». D’Elia poi riuscì a fuggire, evitando di finire sotto i colpi di Rango. Quest’ultimo verrà convinto a desistere dai suoi propositi da Abruzzese «perché in caso contrario lo avrebbero visto tutti e sarebbe stato arrestato».
Picchiato e marchiato con il sangue e con la nomea di “infame”. D’Elia è costretto ad abbandonare il gruppo nonostante avesse ricevuto il battesimo «in carcere da Franco Bruzzese, fratello di Giovanni, collaboratore di giustizia, durante un periodo in
cui erano entrambi detenuti nel carcere di Cosenza». Secondo Barone, D’Elia avrebbe ricevuto «la prima dote di ‘ndrangheta, ossia quella di “picciotto“». Un riconoscimento sbiadito, schiacciato dal peso del sotto banco.
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