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Diritti negati ai bimbi con cataratta congenita. «In Calabria siamo senza assistenza»

Antonio Cavallaro è costretto a compiere continui viaggi per curare il figlio. E non è l’unico: «Cure ed assistenza in regione all’anno zero»

Pubblicato il: 29/03/2023 – 14:39
di Emiliano Morrone
Diritti negati ai bimbi con cataratta congenita. «In Calabria siamo senza assistenza»

LAMEZIA TERME Antonio Cavallaro è un collega della comunicazione che da anni dà consigli e conforto ai genitori calabresi con bambini affetti da cataratta congenita. Si tratta di una patologia invalidante, che nel 2023 obbliga le famiglie della Calabria ai viaggi della speranza, tra difficoltà economiche, costi sociali non riconosciuti, mancanza di informazioni, di organizzazione delle strutture sanitarie regionali e perfino di rimborsi e diritti di base. Perciò lo abbiamo intervistato, con l’auspicio che il suo racconto tocchi la sensibilità dell’opinione pubblica e, di conseguenza, della politica e della dirigenza sanitaria calabrese, che i fatti chiamano a trovare soluzioni concrete.

Come è nato il tuo impegno a favore dei bambini calabresi affetti da cataratta congenita?
«In seguito alla vicenda di mio figlio Giuseppe, che ha questo problema da 11 anni. Nel tempo mi sono impegnato molto e ho parlato con tante famiglie, anche andando a casa loro. Ho iniziato quando abbiamo scoperto la patologia di nostro figlio. Tutti pensano che, se hai un problema del genere, lo Stato se ne prenda integralmente cura. Abbiamo quest’idea, un po’ ingenua. In pratica, però, poi scopri subito che non è affatto così. Soprattutto, ti trovi anche a dover gestire da solo le cose, a dover prendere scelte rispetto alle quali non hai affatto informazioni. Per esempio, dove vado per la prima visita, visto che devo comunque muovermi? Quindi, il mio primo obiettivo è stato quello di parlare con le famiglie, di parlare con le persone e di dare loro dei consigli pratici sulla base della mia esperienza. Esiste un gruppo Facebook sulla cataratta congenita, dal quale è poi nata un’associazione nazionale di cui sono stato consigliere. Il punto, però, è che l’associazione ha un baricentro spostato verso il Nord, perché i bambini che soffrono di cataratta congenita sono di più nel Settentrione. In Calabria, noi siamo metà degli abitanti di Milano, per cui è normale lì ci siano più bambini con questa patologia».

Oltre ad affrontare il caso di tuo figlio, come ti sei mosso?
«Continuo a denunciare che al Sud siamo in balia di noi stessi, che per i bambini non c’è un’assistenza sanitaria adeguata. Ho chiesto e ottenuto un servizio del TG3 regionale. Mi hanno sentito e ho raccontato dei nostri tanti viaggi della speranza. Ho sempre lamentato l’ingiustizia di cui siamo vittime, cioè il non poter curare il proprio figlio vicino casa. È un’ingiustizia che non è legata semplicemente al fastidio di potersi spostare. Infatti, il problema della cataratta congenita ci si è presentato per il nostro primogenito, dunque abbiamo scelto di non avere altri figli».

Antonio Cavallaro

È stata una scelta dolorosa causata dalle condizioni sanitarie della Calabria?
«Avevamo il timore che ricapitasse con il secondo figlio. Come avremmo gestito il problema? Eravamo da soli, senza la classica rete genitoriale alle spalle. Come avremmo potuto occuparci del secondo figlio, stando continuamente in giro per l’Italia? Giuseppe ha subìto fuori regione ben 35 anestesie. Ciò significa stare ogni volta fuori casa per tre o quattro giorni, rimanendo in ospedali e dormendo in albergo. Avere un altro bambino non sarebbe stato possibile».

Spostamenti, pesi e costi inevitabili, insomma.
«C’è stato un periodo in cui andavamo a Milano ogni 40 giorni. Questo ha significato una difficoltà logistica ed anche economica. È inutile nasconderlo. È vero che sono visite che tu fai in ospedale a carico del Servizio sanitario nazionale, però tu ti devi muovere. Soprattutto, se tu devi andare a Milano a fine agosto, il volo low cost ti costa mille euro. E se vai a Milano, come ci è capitato, nella settimana in cui c’è la Fiera del mobile, una camera d’albergo ti costa una follia, pur se a casa nostra lavoriamo in due: io e mia moglie. Quindi mi chiedo, e mi sono sempre chiesto, e chi invece non ha questa possibilità? Ho incontrato delle situazioni del genere, ho incontrato delle famiglie con grandissime difficoltà economiche».

Cioè?
«Parlo di famiglie che hanno dovuto rinunciare a un sacco di opportunità. Noi abbiamo avuto le risorse per portare nostro figlio alla Fondazione Holman, cioè una struttura di eccellenza che si occupa di riabilitazione dei piccoli in caso di deficit visivo. Altre famiglie, però, non ce l’hanno avuta. Quando c’è un deficit visivo, il bambino non cammina e non parla. In generale, i neuropsichiatri non hanno esperienza nell’ambito visivo. Per questo serve una riabilitazione specialistica e multidisciplinare. Ho incontrato famiglie con genitori entrambi disoccupati, che perciò non potevano sopportare i costi di questo tipo di riabilitazione. Ecco perché non smetto mai di denunciare l’ingiustizia che grava sui bambini meridionali e calabresi in particolare, sull’ingiustizia che colpisce le loro famiglie».

Ma non ci sono i rimborsi della Regione Calabria?
«No, per i viaggi della speranza non ci sono. Per il rimborso regionale dovevi avere un reddito inferiore ai 25mila euro lordi. Noi ce l’avevamo, perché anni fa lavoravo solo io da dipendente. Però c’era una postilla: la Regione si riservava di abbassare ulteriormente quel limite. Una volta questo limite era di 50mila euro, quindi ci stavamo. Quando abbiamo fatto noi la domanda, la soglia è stata ulteriormente abbassata a 15mila euro. Se uno è un lavoratore dipendente, 15mila euro lordi li fa con una facilità estrema».

In quanto all’assistenza dei bambini con cataratta congenita, i pediatri calabresi indicano dove andare per le cure necessarie?
«Riguardo alle malattie oculari, i pediatri non hanno, in generale, adeguata conoscenza dei relativi problemi. Hanno una buona competenza su molti altri problemi, ma non sugli aspetti visivi. Lo dimostra il fatto che molto spesso ai genitori non venga suggerita subito una visita oculistica, che di solito viene consigliata quando il bambino inizia ad andare a scuola. Questa è la dimostrazione che in proposito non c’è tanta consapevolezza. Poi, per carità, ci sono pediatri più accorti; non si può fare di tutta l’erba un fascio. Nel nostro caso la malattia venne individuata dal neonatologo in ospedale. Fino a poco tempo fa a Catanzaro, per esempio, non si faceva il test del riflesso rosso. Non so se oggi lo facciano su richiesta o per prassi».

Rispetto alla tua battaglia, quali sono state le risposte della dirigenza sanitaria e della componente politica?
«Grande indifferenza. Per esempio, alla Rai avevo spiegato che noi eravamo i globetrotter della sanità calabrese. Ciononostante, nessuno si è preoccupato, nella sanità come in politica. Ne avevo scritto anche sul Quotidiano del Sud. Io stesso, intendo dire, ho scritto un lungo servizio sulla solitudine dei bambini e dei loro genitori. Non ho mai avuto un solo tentativo di contatto da parte delle istituzioni pubbliche. Anche quando si parla del disastro della sanità calabrese, non si parla mai della situazione dei bambini».

Quanto è diffusa, in Calabria, la cataratta congenita dei bambini?
«Non ho dati precisi, ho soltanto un quadro che mi deriva dall’esperienza, dall’impegno personale per sostenere i bambini che hanno questo problema e le loro famiglie. Alcuni pediatri che conosco hanno dato il mio numero di telefono a diversi genitori, con cui ho poi parlato, dando loro consigli e conforto. Tempo fa restammo a pranzo, a Catanzaro, con tutti i genitori che avevo conosciuto. Forse, però, ci manca la capacità di fare squadra, magari anche per aprire una sezione regionale dell’associazione nazionale che già esiste. I genitori delle altre regioni vivono in condizioni migliori. Per esempio, con una gravità riconosciuta ai sensi della legge 104, hanno diritto all’esenzione del bollo auto. Noi no, invece. Una volta ho litigato con un dirigente regionale per questa ulteriore ingiustizia. In Calabria, la legge regionale prevede questo diritto soltanto in casi di cecità gravissima e non per i bambini ipovedenti. Tra l’altro, noi non abbiamo diritto al contrassegno per disabili, benché siamo costretti a spostarci, a portare i nostri figli altrove per le cure di cui hanno bisogno. È assurdo. Se non bastasse, non ci sono ottici convenzionati, devi pagare tutto tu: occhiali e lenti a contatto. Gli ultimi occhiali per mio figlio Giuseppe sono costati 1.500 euro».

Perché in Calabria non ci sono ottici convenzionati?
«Se tu parli con gli ottici, loro ti dicono che non gli conviene convenzionarsi, perché poi la Regione rimborserà le lenti dopo tre o quattro anni. È la riprova che in Italia vi sono sistemi sanitari differenti, il che è molto grave».

In quanto all’assistenza specialistica, ci sono però quattro ospedali hub, in Calabria. Ciononostante, i bambini con cataratta congenita devono andare a Roma, Genova o Milano per farsi curare. C’è una qualche soluzione?
«Io ce l’avrei. Capisco che tu non puoi avere una specializzazione in Oculistica, se non hai una casistica altissima. Ma c’è una via di mezzo, che potrebbe essere questa. Allora, io vado a Milano o a Roma per fare operare mio figlio. Ma poi, perché come nel caso del mio bambino, per misurare la pressione in narcosi devo andare ogni mese a Milano? Non è una prestazione che si può avere a Catanzaro, in modo che l’ospedale di Catanzaro comunichi a quello di Milano i risultati della misurazione? È come per la chiusura del Punto nascite di Soveria Mannelli, nel senso che per fare il tracciato le donne devono andare spesso a Catanzaro. Possibile che non ci possa essere una via di mezzo? Del tracciato non potrebbe occuparsi un’ostetrica a livello locale? A che cosa serve, altrimenti, la telemedicina?

In caso di cataratta congenita dei bambini, si deve per forza andare sempre fuori regione?
«Riguardo alla prima visita, noi siamo partiti la prima volta il 25 marzo di tanti anni fa. Il bambino aveva appena 13 giorni. Siamo partiti in un giorno di pioggia freddissimo, con un bambino non vaccinato, costretto a prendere l’aereo. Davanti alla pioggia e al vento mi chiedevo il perché e vivevo un forte senso di ingiustizia. Nostro figlio doveva stare a casa e avere delle coccole, piuttosto che trovarsi in mezzo a un aeroporto alla ricerca di un taxi. Poi è molto pesante gestire le visite di controllo, perché il bambino deve mancare per quattro giorni dalla scuola e i suoi genitori devono assentarsi dal lavoro. Possibile che non si possano fare i controlli a livello locale? C’è qualcuno disposto a farsi carico del problema, disposto a vederlo, ad affrontarlo, a risolverlo? Quali sono i costi sociali di questa situazione? Si parla sempre di quanto la Regione paghi gli altri Servizi sanitari, ma nessuno parla mai di quanto costa alle famiglie l’emigrazione sanitaria».

Che appello vuoi rivolgere alle istituzioni politiche?
«Si parla sempre tanto di bambini, si dice sempre che i bambini sono il nostro futuro eccetera. Poi, però, i bambini sono sempre l’anello debole di questa catena e scontano sulla loro pelle le inefficienze sanitarie della Calabria. I bambini sono i più fragili in assoluto. Quindi vorrei che ci fosse più attenzione nei loro riguardi. In Calabria manca un importante punto di riferimento pediatrico, a differenza di altre regioni, anche dello stesso Sud. Per gli adulti, invece, un minimo di risposta c’è, ma per i piccoli siamo all’anno zero, salvo la pediatria in generale. Ed è tragica questa realtà. Non si potrebbero coinvolgere anche i privati, visto che spesso erogano le stesse prestazioni del pubblico, ma non rispondono affatto alle esigenze dei bambini?». (redazione@corrierecal.it)

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