Pubblichiamo di seguito la lettera dell’imprenditore Antonino De Masi. Un appello ai calabresi perché scelgano la strada della denuncia contro la ‘ndrangheta e un invito alla mobilitazione per la manifestazione organizzata a Gioia Tauro il prossimo 31 marzo.
La drammatica realtà che ci viene messa sotto gli occhi dalle inchieste giudiziarie sembra una fotografia dell’orrore scattata forse 100 anni fa, mentre è invece una storia attuale ed inconcepibile. Il lavoro della magistratura e forze dell’ordine ci costringe ancora una volta ad aprire gli occhi immergendoci nella drammatica realtà degli orrori che noi abbiamo normalizzato. Queste inchieste evidenziano una realtà di abusi, crimini e violenze che tutti i cittadini di questi territori ancora oggi stanno, stiamo subendo.
Dalla lettura delle cronache emerge purtroppo quello che tutti noi sappiamo e facciamo finta di non sapere, l’esistenza di un controllo totale, asfissiante ed opprimente del potere criminale su ogni metro di questo territorio, su ogni cittadino e su ogni attività. Ci viene sbattuta addosso la cruda realtà di avere dei padrini e padroni a cui dare conto, dare conto pagando il pizzo, chiedendo il permesso per poter fare questa o quella attività.
Non si parla purtroppo di fatti del passato, nei periodi nei quali poteva ancora essere utilizzato l’alibi dell’antico detto “quando il gatto non c’è i topi ballano” interpretando in questo contesto il gatto come l’assenza dello Stato, delle Istituzioni, della Giustizia e del diritto, e il topo nei criminali ‘ndranghetisti che in quel contesto hanno avuto la possibilità di agire.
I fatti odierni, portati alla luce dalla continua e imponente attività della magistratura, ci fanno vedere la “dittatura” a cui siamo sottoposti, e come tutte le dittature vi è un padrone a cui i sudditi, schiavi ed ubbidienti, sono chiamati a rispondere. Nei tempi in cui esisteva la schiavitù il “padrone” aveva anche il diritto alla vita stessa dello schiavo, quale è la differenza rispetto al padrone che ogni mese viene a chiedere il pizzo? Nulla, in quanto se non paghi, se non ubbidisci, il “padrone criminale” si sente in diritto di ammazzarti; l’unica differenza sta nel fatto che la schiavitù, quella razziale di colore, sembra finita nel secolo scorso, mentre invece da noi ancora esiste quella criminale.
L’ultima inchiesta fa emergere un’attività estorsiva metodica capillare che va dall’imposizione all’agricoltore anche sui piccoli lavori agricoli al controllo dei lavori pubblici oltre che alle imprese ed ai privati cittadini, aspetti che reputo molto gravi che dovrebbero farci riflettere.
Noi abbiamo normalizzato tutto questo, perché? Perché le tante manifestazioni organizzate nel passato anche nel contesto di drammatici fatti di sangue innocente, non hanno mai generato cambiamenti? Come questo può accadere ancora oggi ed essere accettato?
Ho posto più volte queste domande e la risposta è stata: Il diritto ad avere paura.
Certamente questo non è un reato e si lega anche con la ormai assimilata scarsa fiducia in uno Stato che in passato non si è dimostrato in grado di affermarsi, ma che invece oggi è presente e lo sta dimostrando quotidianamente attraverso l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine.
Davanti alla drammaticità di questi fatti il diritto ad avere paura può essere ancora un alibi?
Dal mio punto di vista ho fatto scelte che mi hanno portato alla solitudine, ho pagato e sto pagando prezzi altissimi; guardandomi indietro ricordo le minacce degli attentati subiti dalla mia famiglia, sono passati diversi decenni ed ancora oggi stiamo discutendo ed affrontando gli stessi problemi. Dopo l’ultimo attentato subito nel 2013 mi sono detto che era venuto il momento di dire basta perché non volevo trasferire sui miei figli questa situazione. Soprattutto per il loro futuro non era più accettabile il mio diritto di avere paura.
La paura, il quieto vivere, il far finta di non vedere, l’accettare e normalizzare tutto questo ha portato e sta portando che i nostri figli hanno come unica prospettiva quella di andare via, di scappare da questa terra. Siamo la regione d’Italia con il più alto tasso di emigrazione giovanile e noi genitori oggi abbiamo come nostra unica speranza che i nostri figli una volta adulti possano trovare la loro vita altrove, scappando da questa terra. Come può essere accettabile tutto questo?
Il diritto ad avere paura e l’omertà hanno portato alla distruzione della nostra società, all’aver fatto terra bruciata intorno ai nostri figli, costringendoli ad emigrare, è stato il nostro atteggiamento a spingerli a salire su un aereo o un treno.
Il diritto ad avere paura che noi pretendiamo sta mettendo nelle condizioni quei pochi giovani che vogliono avviare un’attività per costruirsi un difficile futuro qui, a continuare come in passato a riconoscere il padrone di turno sottomettendosi alle sue regole.
Lo Stato si sta facendo vedere, certamente con la repressione e gli arresti, ma anche cercando di rivendicare la fiducia dei cittadini, che devono a questo punto fare la propria parte.
Il sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio, ha organizzato questa importante manifestazione ed io mi chiedo cosa ha di diverso rispetto a quelle organizzate in precedenza? Perché le cose questa volta dovrebbero essere diverse e portare a cambiamenti?
Se continuiamo a nasconderci dietro l’alibi del “diritto ad avere paura” nulla cambierà; il domani di questo territorio, il domani dei nostri figli passa dal nostro agire oggi, dall’essere noi tutti attori protagonisti di un cambiamento, di un rinascimento dei valori e di una presa di coscienza di essere uomini e donne liberi.
Diceva Goffredo Mameli: «Non siamo popolo perché siamo derisi e divisi, uniamoci sotto un’unica speme», diventiamo quindi popolo, ritorniamo ad essere orgogliosamente calabresi, portatori di valori di dignità e di libertà, assumiamoci la responsabilità di combattere per liberare la nostra terra dalla dittatura del padrone mafioso che ancora oggi vuole continuare a sottometterci sotto il giogo della violenza e dell’omertà. Lo dobbiamo ai nostri figli, lo dobbiamo al nostro prossimo.
Io amo profondamente la mia terra e la mia gente e proprio per questo ho deciso di combattere la mia battaglia per la libertà, con le mie scelte ho affidato allo Stato ed alle Istituzioni la mia vita dando loro fiducia senza mai pentirmene ed al di là dei prezzi e delle minacce subite vivo la mia vita con orgoglio e con il sogno di un domani migliore. Chiudo con la speranza che il sogno di Martin Luther King e le parole di John Fitzgerald Kennedy ci possano accomunare, domandandoci sempre cosa dobbiamo e possiamo fare per il nostro Paese, per la Calabria, ma ancora di più per i nostri figli.
Essere a Gioia Tauro venerdì 31 marzo in Piazza, è un primo segnale a cui poi occorre dare seguito con fatti ed azioni concrete da parte di tutti cercando, mattone per mattone, di costruire insieme il cambiamento ed una nuova società libera.
Antonino De Masi
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