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Antonino Scopelliti, il giudice che nascose moglie e figlia per proteggerle

In un podcast il racconto della figlia Rosanna: «Mi nascondevano in una valigia rossa. Davanti agli altri dovevo fingere di non conoscerlo»

Pubblicato il: 30/03/2023 – 9:30
di Mariateresa Ripolo
Antonino Scopelliti, il giudice che nascose moglie e figlia per proteggerle

REGGIO CALABRIAIl giudice non è mai popolare, soprattutto il pubblico ministero, che è quasi sempre impopolare in tutti i processi. E allora, ho creduto di fare il mio dovere applicando la Legge”. Il giudice, diceva Antonino Scopelliti, va incontro a critiche «aspre, vivaci, a volte anche ingiuste, ma non può sacrificare il suo ministero, la sua milizia ormai, per una popolarità che non è un suo privilegio, può essere popolare o impopolare ma deve fare anzitutto il proprio dovere». È la figura di un giudice che «impopolare lo è stato anche dopo la sua morte», ma che ha fatto il proprio dovere fino alla fine, quella raccontata nel podcast realizzato dal giornalista Massimo Brugnone per la Fondazione Scopelliti. Sei puntate fatte di racconti, testimonianze, dichiarazioni, ricostruzioni di un caso che ancora oggi – a distanza di oltre trentuno anni dall’omicidio del giudice reggino – rimane con tanti punti interrogativi. La storia di un delitto irrisolto, ma soprattutto di un uomo, «un cultore del diritto. Un giudice di Cassazione che con la sua mente raffinata per il diritto, con la sua fermezza, con la sua caratura morale, con le sue capacità, faceva paura a tante persone. Non soltanto alle organizzazioni mafiose», afferma Brugnone. E così, al racconto di un fatto per il quale si continua a cercare la verità, si aggiungono gli aneddoti raccontati da chi quel giudice lo conobbe, e in particolare i racconti della figlia Rosanna Scopelliti.

La carriera in magistratura e il rapporto con Giovanni Falcone

Antonino Scopelliti si era laureato in legge ad appena 21 anni, a 24 era entrato in magistratura, e il 23 gennaio 1980, a soli 45 anni, diventa magistrato di Cassazione. Quella del giudice reggino sarà una carriera costellata di successi e importantissimi processi. Dalla sua Campo Calabro, un paesino di circa 4mila abitanti in provincia di Reggio Calabria, arriverà a ricoprire il ruolo di pubblico ministero in delicati procedimenti di terrorismo e criminalità organizzata. Si occuperà dei processi per la strage di Piazza Fontana a Milano, per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, degli omicidi di Aldo Moro, del colonnello dei carabinieri Antonio Varisco e del capitano Emanuele Basile. Segue i processi per la morte del giudice Rocco Chinnici e della sua scorta, dei giudici Vittorio Occorsio, del giudice Mario Amato e del giornalista Walter Tobagi, segue i casi Calvi e Sindona. Sarà lui stesso – viene raccontato nel podcast – a chiedere di ricoprire il ruolo di pubblico ministero in Cassazione nel maxiprocesso che vedeva alla sbarra la Cupola di Cosa nostra. Ed era probabilmente per confrontarsi su quel caso che la sera Scopelliti sentiva telefonicamente Giovanni Falcone durante lunghe chiamate. «Forse era la persona con cui papà stava di più al telefono», racconta Rosanna Scopelliti. Un rapporto tra i due – legati dallo stesso tragico destino – che andava al di là della sfera professionale e che spinse il giudice palermitano a precipitarsi in Calabria dopo la morte di Scopelliti. Il giorno del funerale del giudice reggino Giovanni Falcone andò a Campo Calabro. Lì – viene raccontato nel podcast – si trovò davanti Francesco, il fratello di Scopelliti, che gli si scagliò contro: “Giovanni, te la sei scampata. Ninuzzo è morto”. Ma «Falcone sapeva che quello di Antonino Scopelliti non era che l’inizio di una stagione che avrebbe portato anche alla sua di morte».

Il legame con Campo Calabro, dove era «così tranquillo da girare senza scorta»

«Nonostante il pericolo che sapeva di correre quando tornava a Campo Calabro, suo paese di origine, si sentiva al sicuro e così tranquillo da girare senza scorta». E sarà proprio a pochi chilometri da casa, a Piale, frazione di Villa San Giovanni, che il giudice reggino troverà la morte in un agguato il 9 agosto 1991. Legatissimo alla sua terra, appassionato di cultura, di calcio, Antonino Scopelliti a Campo Calabro dai 17 ai 23 anni aveva ricoperto il ruolo di presidente del Cuc (Circolo Universitario Campese). L’attaccamento a Campo Calabro viene raccontato anche attraverso le parole dell’attuale sindaco, Sandro Repaci. «La mia comunità ha vissuto la morte di Nino Scopelliti così come viviamo il lutto noi calabresi che ci vestiamo di nero, ci facciamo crescere la barba lunga e rimaniamo seduti in casa ad attendere le condoglianze per settimane e settimane. A Campo Calabro – spiega ancora il primo cittadino – non muore il giudice, a Campo Calabro muore il parente, l’amico, il compagno del Cuc, il compagno di squadra di calcio, la persona alla quale i barbieri e gli operai davano del tu ed erano ricambiati». 

Il racconto di Rosanna Scopelliti: «Mi nascondevano in una valigia rossa. Davanti agli altri dovevo fingere di non conoscerlo»

Una vita trascorsa a combattere terrorismo e criminalità organizzata, con la consapevolezza che «i momenti di angoscia e di paura ci sono per tutti, si tratta di superarli nel migliore dei modi», disse in una intervista. Ma la paura più grande che Antonino Scopelliti provava era probabilmente quella che qualcuno potesse fare del male alla donna che amava e a quella figlia nata nel 1983 che aveva tenuto nascosta anche ai propri fratelli e ai propri genitori. Ed è proprio per paura di possibili ritorsioni che Scopelliti si sposò e fece annullare il matrimonio, affinché la relazione non risultasse dalle carte. «Sapeva di essere in pericolo». «Giravo in una valigia rossa, e a Reggio giravo in una cassetta di pomodori», racconta nel podcast Rosanna Scopelliti che ricorda di aver appreso della tragica morte del padre dal telegiornale: «La prima reazione che ho avuto è stata la negazione». Rosanna Scopelliti racconta poi di un vero e proprio “Protocollo valigia rossa” quando era in presenza del padre: «Davanti agli altri dovevo fare finta di non conoscerlo».

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Rosanna Scopelliti

«Io sapevo – racconta ancora la figlia del giudice – che c’erano dei delinquenti che volevano fare male a papà. Sapevo che noi dovevamo prendere delle precauzioni e sapevo perfettamente che io non dovevo dire a nessuno di essere la figlia del giudice Scopelliti. Questi erano i tre punti cardine della mia esistenza fino ai sette anni. Sapevo che a Reggio Calabria io dovevo essere presente come figura il meno possibile perché avevamo un po’ di paura». E parlando proprio di paura, Antonino Scopelliti a una domanda di Maurizio Costanzo rispose: «Si possono fare dei proclami e rifiutare la paura ma rimangono soltanto parole, l’uomo fisiologicamente ha paura e deve aver paura svolgendo la sua attività, ovviamente deve anche pensare che essendo una milizia, soprattutto quella del magistrato, deve fare il proprio dovere». (redazione@corrierecal.it)

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