La ‘ndrangheta a Brescello. In Emilia Romagna nella Bassa reggiana del Po. Un microcosmo di cinquemila anime che aiuta a capire come è cambiata l’Italia.
Un paese celebre per essere stato teatro delle contese tra il prete Don Camillo interpretato da Fernandel, contrapposto ma tanto unito a Peppone, sindaco comunista con i panni di Gino Cervi.
Pochi sanno che lo scrittore Guareschi, inventore della saga, non cita Brescello nei libri che fanno da base alle sceneggiature di quella cinematografica.
Tutto si deve alla produzione che dovendo trovare il teatro naturale delle loro imprese si mise a girare i paesi della Bassa. Serviva una chiesa vicino ad un municipio. La trovarono a Brescello.
A distanza di 70 anni dal primo film, ancora oggi 70mila persone ogni anno vanno in visita a Brescello in uno dei fenomeni più antichi di cineturismo. Vanno sui luoghi del film, visitano il museo dedicato, posano un selfie davanti alle due statue collocate in piazza per il mezzo secolo del primo “Don Camillo”. Perché un film così antico nel suo bianco e nero ha tanto richiamo?
Perché fu un successo strepitoso che lascia traccia fino ai giorni nostri. Record d’incasso della stagione 1951-52 realizza una vendita di un miliardo e mezzo di lire al botteghino. Ha spiegato il successo Vittorio Spinazzola con il fatto che in uno dei paesi più politicizzati del mondo il pubblico si è trovato di fronte a un film di politica, e vi si è ritrovato perché ne parlava in termini di attualità chiamando in causa cattolici e comunisti attraverso la formula della commedia.
La digressione cinefila era necessaria per comprendere come la scoperta certificata del malaffare in questo paesone emiliano sia stato uno dei più visibili sui media della ‘ndrangheta al Nord per gli stravolgimenti accaduti al punto da decretare lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, il primo nell’Emilia Romagna “rossa”. Scioglimento confermato dal Consiglio di Stato nel 2017. E anche il processo che ha accertato la presenza dei Grande Aracri ha stabilito una verità giudiziaria. Un processo chiamato “Grimilde”, come la strega di Biancaneve che non riesce a guardarsi nello specchio mostrando la sua vera identità perché come scrive in una sua relazione il magistrato calabrese Roberto Pennisi che in Emilia ha indagato per molti anni questi fatti: «Più che il territorio in quanto tale con un’occupazione militare, l’infiltrazione ha riguardato i cittadini e le loro menti, con un condizionamento, quindi, ancora più grave».
Negli anni Sessanta in provincia di Reggio Emilia arriva un’emigrazione di massa, in particolare da Cutro, assunta a recente cronaca per l’eccidio dei migranti. Arrivano i manovali, tanti, aumenteranno anche le aziende edili. Qualche confinato innesta il cortocircuito. Nascerà una ‘ndrangheta innovativa che tra guerre di mafia, pentiti, tradimenti e il solito armamentario di contrapposizione giudiziaria determinerà l’ascesa di Nicolino Grande Aracri, autore di una riforma d’infiltrazione capace di disegnare nuove modalità di penetrazione e anche di giurisdizione. Reggio Emilia e Crotone si uniscono nel bene e nel male. Il settimanale “Il Crotonese” nei tempi d’oro della diffusione dei giornali di carta qui faceva arrivare le sue locandine nelle edicole della provincia. A Brescello un intero quartiere si chiama “Cutrello”.
Le scoperte d’infiltrazioni, a Brescello, hanno fatto anche rievocare nei processi un clamoroso “cold case” che tutti avevano dimenticato. E’ il 22 novembre 1992 quando una Fiat Uno con su scritto “carabinieri” e lampeggiante entra nel cortile della casa di Giuseppe Ruggiero, uomo di ‘ndrangheta; scendono uomini in divisa che entrano in casa e trucidano il malcapitato in una delle tante vendette che si consumano in quegli anni tra Emilia e Calabria. Già a quel tempo il sindaco dell’epoca, Giuseppe Vezzani, sul montare della stampa, in una lettera aperta censura gli articoli “diffamatori” e difende i calabresi «che si guadagnano da vivere onestamente».
E’ l’episodio più clamoroso della presenza della ‘ndrangheta a Brescello, un unicum, ben presto rimosso dalla coscienza collettiva progressista locale. Chi fa saltare il tappo in paese è un gruppo di ragazzini. Sembrano usciti da un film di Frank Capra, non hanno molto a vedere con Don Camillo e Peppone. Ex compagni del liceo locale, sono studenti di Giurisprudenza, giovani cronisti di siti locali. Praticano new journalism con le loro telecamerine i ragazzi di “Cortocircuito”, associazione legalitaria che produce video diffusi con sguardo alto e con schiena dritta.
Il fondatore Elia Minari sarà intervistato da giornali di mezzo mondo e diventerà uno dei dieci personaggi del 2015 per l’Istituto Treccani. Le loro inchieste saranno citate nelle motivazioni dello scioglimento del consiglio comunale mentre il Tg3 nazionale in un servizio loro dedicato potrà dire il 25 giugno 2019: «Le inchieste dell’associazione Cortocircuito hanno dato un contributo fondamentale ai processi contro i boss, come attestano i faldoni dei processi “Aemilia” e “Grimilde”».
È la vecchia inchiesta, bellezza, uguale a quella di Peppino Impastato e Mauro Rostagno, questa volta nell’Emilia rossa che diventa paranoica. I ragazzi documentano venti incendi ad attività economiche del Reggiano per le quali nessuno presenta denuncia. Poi vanno a chiedere conto al giovane sindaco del Pd, l’avvocato Marcello Coffrini. Domande incalzanti che il sindaco cerca di sminuire. Reclamano verità sulla presenza storica di Francesco Grande Aracri, fratello di Nicolino, condanne per mafia e segnalazioni a iosa. Coffrini sostiene che è una persona per bene.
Minari con l’aria da saputo gli oppone che il signore in questione ha ricevuto misure di prevenzione economica di una certa portata (sequestrate due aziende edili, la Grande Aracri e la Eurogrande, 16 conti correnti e depositi bancari, sei abitazioni, nove unità commerciali, terreni, automobili, mezzi di lavoro, proprietà del valore di circa 3 milioni di euro); il sindaco in difficoltà e con una certa ingenuità porta i ragazzi, dietro loro insistenza, al cantiere di Grande Aracri che quando vede la troupe molto allargata fa capire che non è il caso di dare interviste. Il materiale in presa diretta è uno scoop clamoroso che decapita il mantra di Brescello “siamo gente per bene”. Il sindaco cerca di resistere e si fa dare la fiducia in consiglio comunale con festa in piazza compresi cutresi amici di Grande Aracri e cerca di mettere pezze chiedendo scusa per quello che ha detto. Ma ormai la situazione è precipitata. Il Comune sarà sciolto per mafia. Si scoprono molti altarini. Il sindaco è figlio d’arte di Ermes, nuovo epigono di Peppone che a Brescello prima con il Pci e poi con i Ds ha fatto il sindaco dal 1985, lanciando il figliolo come assessore all’urbanistica e di seguito come sindaco.
Nel 2003 in un’intervista ad un giornale locale, ad Ermes chiedono di Franco Aracri già condannato per mafia e lui: «A noi non risulta nulla, qui si è sempre comportato bene, ha fatto anche dei lavori in casa mia e si è visto assegnare dei lavori dal Comune». Esce fuori anche che il prestigioso avvocato progressista ha difeso la famiglia Grandi Aracri in una complessa causa civile al Tar di Catanzaro. E si scopre anche che ad un commerciante minacciato di estorsione e che aveva per protesta chiuso la saracinesca con il manifesto “Chiuso per mafia” il rosso Ermes aveva revocato la licenza per ritorsione. Prima dei ragazzini, un altro giornalista aveva rivelato l’altro volto di Brescello. Si chiama Donato Ungaro, e ne aveva scritto sulla “Gazzetta di Reggio”. Arrivò un richiamo. Donato andò avanti e fu licenziato. Ha vinto la causa e la sua storia è stata raccontata in uno spettacolo teatrale. C’è anche un prete in questa storia. Don Evandro Gherardi che, prima della processione del santo del paese, in un sermone attacca i cronisti ragazzini e difende la gente onesta di Brescello. Non proprio un don Camillo. Il Pd per risolvere il bubbone scoprirà che il giovane sindaco Coffrini che non si voleva dimettere non ha la tessera rinnovata. Ci penserà Beppe Grillo dal suo blog a denunciare la vicenda raccontando che anche il sindaco Pd di Reggio Emilia, Graziano Delrio, va a Cutro ai gemellaggi. Il futuro ministro sarà costretto ad andare a spiegarsi in Commissione Antimafia. Ora a Brescello è sindaco una donna. La vecchia commedia di Don Camillo e Peppone aspetta le sue nuove varianti. (redazione@corrierecal.it)
x
x