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I Comuni alla prova del Pnrr, Calabria sul filo del rasoio – DATI E VIDEO

Scarsa dotazione di personale e quadro finanziario critico mette a rischio l’esecuzione. Cersosimo: «“Bandificio” penalizzante per la Calabria»

Pubblicato il: 31/03/2023 – 7:00
di Roberto De Santo
I Comuni alla prova del Pnrr, Calabria sul filo del rasoio – DATI E VIDEO

COSENZA È la messa a terra dei progetti, oltre alla difficoltà ad interpretare al meglio i bandi attivati con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza il principale ostacolo dei Comuni.
Un nodo che rischia di non far centrare l’obiettivo fondamentale dell’utilizzo pieno delle somme messe a disposizione dall’Europa, per colmare divari storici tra territori e restituire competitività soprattutto alle aree più fragili del Vecchio Continente.
Un aspetto che riguarda molto da vicino la Calabria, che resta drammaticamente agli ultimi posti nelle classifiche socio-economiche europee e soffre più di altre, per opportunità di creare sviluppo ed occupazione.
A tre anni dal varo di quel grande progetto europeo di trasformare lo svantaggio competitivo innescato dagli effetti drammatici del diffondersi della pandemia in occasione di rilancio economico, così i timori di perdere questo straordinario appuntamento per la rinascita del tessuto produttivo, del Mezzogiorno e della Calabria in particolare, rischia di trasformarsi in drammatica realtà.

La presentazione alle Camere della relazione sullo “Stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” della Corte dei conti


Lo denuncia in qualche modo anche la relazione sullo “Stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” presentato alle Camere della Corte dei conti. Ebbene i giudici contabili segnalano i ritardi già accumulati nel cronoprogramma del Piano. Stando a quanto scritto dalla Corte il tasso di realizzazione si attesterebbe al solo 12% delle risorse da utilizzare entro il 2026. Considerando anche che quel dato è fortemente condizionato dal meccanismo semiautomatico finora garantito dal superbonus. Epurato da questa misura e dagli incentivi all’industria, il tasso di utilizzo delle risorse scende drasticamente al 6%.
Ma l’aspetto su cui la Corte dei Conti lancia il maggiore allarme è sulla capacità degli enti locali, a partire dai Comuni, di mettere a terra i progetti.
Un allarme non da poco visto che oltre il 53% dei progetti relativi a misure territorializzate, vede i Comuni come attuatori. Un allarme che interessa strettamente la Calabria per alcune fragilità sottolineate nella stessa relazione della Corte dei Conti. Aspetti che mettono già da ora in guardia sul rischio di vanificare quella missione di “salvataggio” di interi territori come quelli calabresi.

Allarme rosso per i Comuni calabresi

Scendendo nel dettaglio della relazione della Corte dei Conti su dati del sistema ReGis, il cuore telematico della Ragioneria generale dello Stato che raccoglie in tempo reale tutte le “pulsazioni” del Pnrr, emerge che sono 7.783 i Cup (Codice Unico di Progetto, che identifica un progetto d’investimento pubblico ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici) attivati dai Comuni calabresi su 8.510 complessivi.
Ed il costo complessivo dei progetti attivati è pari a circa 5 miliardi (4.570.575.000) per un investimento pubblico da oltre 4,968 miliardi. Sono gli enti per questo maggiormente coinvolti nell’attuazione del Piano sui territori. Ebbene rileva la Corte, a fronte della capacità in qualche modo dimostrata, di intercettare progetti o nel doverli gestire (giocoforza perché territorializzati), può non corrispondere una reale capacità di realizzarli.
Entrando nel dettaglio delle fragilità dimostrate dai Comuni nel poter gestire risorse, i giudici contabili fanno emergere le criticità finanziarie che ne comprometterebbero la realizzazione.

Dall’analisi comparata dei dati elaborati dalla Corte dei Conti, i comuni calabresi presentano le maggiori criticità


Nell’analisi compiuta nella relazione, gli analisti hanno tenuto conto di due indici: la capacità di realizzazione e il margine corrente. Da quest’analisi emerge che i Comuni calabresi rientrano tra quelli con la più bassa capacità di gestire i progetti per la ridotta sostenibilità finanziaria dimostrata. Se la media dei Comuni italiani è pari al 58,6%, in Calabria quel tasso scende al 34,4%. Un dato che pone i Comuni calabresi al gradino più basso di quell’indicatore.
Inoltre i giudici contabili hanno valutato anche il numero dei Comuni che hanno attivato procedure di dissesto o riequilibrio finanziario al 31 dicembre 2022. Anche qui risulta che la maggioranza (circa 6 su dieci) degli enti in queste condizioni ricade in particolare in Calabria, Campania e Sicilia. Fragilità che rischiano per questo di non far centrare l’obiettivo: ridurre il divario esiste con il resto del Paese.
Si tratta di Comuni per lo più di ridotte dimensioni con una popolazione sotto i diecimila abitanti.

Stando a quanto sottolineato dai giudici contabili, per questi enti sussiste inoltre una fragilità del personale non solo dal punto di vista numerico ma anche «qualitativo». Dai numeri dell’Ifel e dell’Istat, rispetto a quest’ultimo aspetto in Calabria risultano in servizio nelle amministrazioni comunali 3,3 dirigenti ogni 100mila abitanti. Il dato più basso in Italia dove la media è pari a 5,9 per 100mila abitanti. 
Da qui l’invito della Corte dei conti «alla riqualificazione dei lavoratori attraverso un ripensamento della formazione rivolta ai settori maggiormente coinvolti nella programmazione ed alla esecuzione dei progetti, non trascurando adeguati investimenti anche nel settore delle politiche attive». Aspetti che dovranno essere rapidamente colmati per non far perdere alla Calabria questa occasione storica (forse l’ultima) per cercare di ridurre i divari socio-economici esistenti.

Cersosimo: «Il “bandificio” del Pnrr penalizzerà i Comuni»

Domenico Cersosimo, economista, già docente di Economia applicata all’Università della Calabria denuncia il «“bandificio”» adottato come metodo per mettere a terra i progetti del Pnrr. Un sistema che, secondo Cersosimo, finirà per penalizzare soprattutto i Comuni più piccoli e per questo meno «attrezzati» ad intercettare e lavorare sulle risorse del Piano. L’economista punta l’indice sui «tecnicismi» adottati nella stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza che si scontrano contro la dura realtà. Cersosimo si dice pessimista sulla possibilità che i Comuni calabresi, soprattutto i più piccoli, riescano a centrare l’obiettivo. E tuona: «I bisogni si finanziano, non si mettono a bando».

Domenico Cersosimo, economista, già docente di Economia applicata all’Università della Calabria

Professore, il Pnrr sta accusando ritardi, soprattutto nelle procedure di aggiudicazione dei bandi. A cosa è addebitabile?
«Il Pnrr è un piano particolarmente complesso. Come tutti i piani, è stato relativamente “semplice” progettarlo e assemblarlo, a maggior ragione per la sua configurazione di piano tecnocratico, top down, con pochissime ed “espertissime” persone coinvolte nella sua ideazione e costruzione. La sua gestione e implementazione operativa è evidentemente ben più difficile e piena di inciampi. Innanzitutto perché, a differenza della redazione, gli attori coinvolti a valle sono molteplici, di diverso rango, con differenti capacità progettuali e gestionali. Una cosa è costruire la cornice un’altra dipingere il quadro; una cosa è redigere e pubblicare un bando, un’altra è avviare e realizzare gli investimenti, che, come è noto, dipendono da una pluralità di condizioni esogene ai progetti e che influenzano pesantemente la loro realizzazione».

E a che punto siamo in Calabria?
«La Calabria è una regione idealtipica delle difficoltà realizzative. Può sembrare paradossale ma a più di 50 anni della sua nascita la Regione non è ancora oggi dotata di un’adeguata struttura di programmazione-progettazione-gestione-monitoraggio-valutazione. Senza trascurare che latitano tuttora leggi settoriali e procedure regolative essenziali, che appesantiscono e rendono incerti e patologicamente lunghi i cicli di attraversamento e di realizzazione degli investimenti pubblici. Ancora, la capacità di spesa per investimenti dell’apparto pubblico regionale è inchiodata da tempo su livelli particolarmente bassi, al più 300-350 milioni di euro all’anno, una frazione modesta degli impegni. I punti dolenti, e dolorosi, e che connotano tanto la Regione quanto la gran parte dei comuni, sono noti: deficit endemico di capacità burocratica; modesta dotazione di figure manageriali; organizzazione per comparti stagno e separatezza assessorile; dominio della cultura amministrativa per adempimenti e non per risultati; porosità collusiva tra apparati burocratici e decisori politici. Non è un mistero che parti non marginali della programmazione e della stessa gestione operativa vengano decentrati su strutture di assistenza tecnica esterne all’amministrazione, con una doppia penalizzazione: l’esternalizzazione di funzioni pubbliche strategiche verso agenzie e talvolta singoli privati, da un lato, e di una persistente incapacità ad internalizzare stabilmente know-how nella struttura amministrativa regionale. Non mancano in Regione dirigenti, funzionari e impiegati capaci e con ottime competenze ma che tuttavia perdono “valore” all’interno di circuiti organizzativi e modalità decisionali gerarchici, burocratizzati, e il più delle volte dominati da logiche di appartenenza e di subalternità al potere politico. Come succede in altri comparti della vita pubblica della nostra regione, le rondini, che pure ci sono, non annunciano la primavera».

Eppure non erano mancati gli allarmi in tal senso soprattutto per i Comuni del Sud. Perché non si è corso ai ripari?
«Lo stato “comatoso” degli apparati tecnico-amministrativi dei Comuni, soprattutto meridionali, sotto il profilo progettuale, organizzativo, finanziario e gestionali erano sotto gli occhi di tutti. Erano notissimi alle forze politiche, ai ministri e alle strutture ministeriali che, nell’ultimo decennio, accecati dalla balorda “austerità espansiva” (più tagli più cresci!), hanno perseguito con accanimento una radicale potatura di personale, di servizi, di finanziamenti dei comuni, particolarmente pesante nel Mezzogiorno a causa della pregressa maggiore fragilità delle finanze comunali. Moltissimi Comuni del Sud e della Calabria, soprattutto quelli più piccoli, sono oggi del tutto destrutturati sotto il profilo quantitativo e qualitativo: personale al lumicino, mediamente di età elevata e di bassa caratura tecnico-professionale; sottofinanziamento strutturale, quando non in dissesto o pre-dissesto; carenza assoluta di figure competenti nel campo della progettazione e dell’affidamento dei lavori pubblici».

In queste condizioni non c’è il rischio che i Comuni non riescano a progettare e spendere i soldi del PNRR?
«Il Pnrr affida ai Comuni un compito realizzativo importantissimo, investimenti pari a circa 40 miliardi di euro, una cifra enorme da spendere entro il 2026. È del tutto improbabile che i Comuni riescano a centrare l’obiettivo della spesa, o meglio è certamente possibile che i Comuni più grandi e strutturati, prevalentemente del Centro-nord, riusciranno a progettare e realizzare le opere e i servizi. Al contrario, è matematico, in assenza di drastici cambiamenti nella linea del governo centrale, che la quasi totalità dei Comuni più piccoli e fragili, soprattutto del Mezzogiorno, non riuscirà a catturale la “grande occasione”. Insomma, il rischio che ai vecchi dualismi si sommino in questi anni ulteriori fratture tra Comuni e tra aree, e che nel 2026 avremo un’Italia anche più dispari di quella odierna. Il disastro di tutto ciò è “nel manico”. Il Pnrr ha scelto un percorso capovolto: prima il grande Piano e poi l’infrastruttura per la sua implementazione. Un’idea, daccapo, da tecnocrati puri, che un piano tecnico abbia il dono dell’autorealizzazione, che piantato l’albero arriveranno i frutti. Una concezione lineare, algoritmica, dei processi di investimento e di cambiamento. La convinzione, scolastica, che cambiando qualche regola del gioco, attraverso le riforme, il resto sarebbe seguito e il mercato, liberato da “lacci e lacciuoli”, avrebbe fatto la sua parte».

C’è ancora tempo per recuperare il tempo perso?
«Più che di “tempo perso” parlerei di grave sottovalutazione del problema. Il governo inizialmente ha pensato di risolvere la carenza estrema di competenze tecniche degli enti locali meridionali reclutando poche migliaia di “tecnici” esterni a tempo parziale. Un fallimento clamoroso: meno candidature di quelle messe a bando e continue dimissioni con il passare dei mesi, anche a ragione di retribuzioni modeste. L’aspetto più preoccupante è stato la modalità di reclutamento, il più delle volte attraverso semplici questionari a domande multiple o colloqui del tutto formali e sbrigativi: esattamente l’opposto di come si dovrebbero attrarre e reclutare le migliori intelligenze. Peraltro, l’arrivo nei Comuni di poche unità di personale “tecnico”, spesso con bassissime o nulle competenze specifiche nel campo della progettazione, non ha risolto il problema e i comuni hanno continuato a essere non attrezzati per partecipare ai bandi competitivi via via pubblicati. Successivamente, il governo ha puntato su agenzie centrali di assistenza tecnica agli enti locali, Cassa depositi e prestiti, Invitalia e altre, che tuttavia risultano troppo “lontani”, troppo “grandi”, troppo “sofisticati” per i singoli Comuni, tanto più se piccoli e fragili; senza trascurare che dal centro è davvero difficile poter offrire consulenza progettuale ad un’infinità di comuni ed enti locali con strutture e domande assai diversificate».

I Comuni più piccoli rischiano maggiormente di non poter realizzare i progetti del Pnrr

I Comuni più piccoli sono quelli che stanno soffrendo maggiormente. Denunciano difficoltà a partecipare ai bandi e a portarli a compimento. E la Calabria in tal senso che di micro enti ne è costellata rischia di vanificare questa enorme occasione di recuperare divari?
«I piccoli Comuni, tranne sparute eccezioni, sono di fatto tagliati fuori dalla possibilità di partecipare con successo ai bandi competitivi. Troppo gracili e sfarinati per poter sperare di vincere con procedure complicatissime, tarate su soggetti istituzionali robusti, adeguatamente attrezzati sotto l’aspetto organizzativo, progettuale, relazionale. Qualche chances in più potrebbero averle coalizioni di scopo di più Comuni di piccole dimensioni: mettere a fattor comune le singole competenze e capacità, utilizzare al meglio le singole reti istituzionali, utilizzare l’aggregazione come leva per catturare l’attenzione di centri di competenza nazionali, accrescerebbe considerevolmente la loro possibilità di partecipare con qualche successo ai bandi. I PNRR avrebbe potuto prevedere l’allocazione di specifiche risorse finanziarie per le aggregazioni di Comuni già in essere, ma l’ha fatto, disperdendo così capacità sedimentate in queste reti istituzionali. Tuttavia, anche in questo caso la soluzione è un’altra e ben più radicale. Ai Comuni piccoli, a quelli deprivati di infrastrutture civili e di beni pubblici e servizi di cittadinanza, ai Comuni delle aree interne e più lontani dai centri di offerta di servizi, i finanziamenti del Pnrr per migliorare le condizioni di vita delle loro comunità andrebbero garantiti senza l’umiliazione della competizione “truccata” dei bandi, di partecipare ad una gara, come denuncia il professor Gianfranco Viesti, tra disuguali. I bisogni si soddisfano, non si mettono a bando».

L’apporto delle università è fondamentale nella formazione e nella riqualificazione del personale pubblico


Ed il sistema universitario calabrese può svolgere un ruolo attivo?

«Le università non sono agenzie di assistenza tecnica e di consulenza pubblica. Ciò non toglie che al suo interno si accumulino conoscenze scientifiche e tecniche astrattamente mobilitabili per rafforzare le capacità progettuali degli enti territoriali. Così come esistono ricercatori con notevoli capacità e competenze tecniche che potrebbero essere molto utili per allestire progetti competitivi. Le università tuttavia hanno già un gran daffare per confezionare a loro volta progetti e programmi per partecipare a bandi e avvisi Pnrr dedicati al rafforzamento della ricerca e della didattica. Sono scettico dunque sulla possibilità/capacità delle università calabresi di giocare un “ruolo attivo” nel campo del sostegno alla progettazione micro. A volte le università vengono considerate, sbagliando, come istituzioni-“soluzionifici”, a cui ricorrere ogni volta che si profila un problema pubblico apparentemente complesso, anche quando la soluzione è tipicamente politica, come per l’appunto decidere se e a quale bando partecipare, se puntare su un progetto o su un altro. Naturalmente, le università potrebbero, come in parte già fanno, contribuire a rafforzare le competenze di funzionari e dipendenti pubblici attraverso master e corsi di alta formazione, così come potrebbero partecipare alla costruzione comune di percorsi di sviluppo locale sostenibili e inclusivi mediante l’utilizzo adeguato di conoscenze scientifiche e di risultati di ricerca empirici. Le università potrebbero inoltre contribuire, insieme alle amministrazioni comunali e alle associazioni civiche, a mettere a sistema i progetti senza nesso che il Pnrr ha fatto cadere dall’alto nei singoli comuni o in comuni appartenenti ad aree urbane policentriche, come quella cosentina. È importante non dimenticare che università sono solo una parte della soluzione possibile, non la soluzione. D’altro canto, l’esperienza storica insegna, che lo sviluppo e il progresso si alimenta di una doppia conoscenza: di quella scientifica, codificata, prodotta nelle università e nei centri di ricerca, e di quella tacita, contestuale, che si stratifica nei luoghi e nelle persone che vi abitano. Un doppio saper fare di uguale importanza».

I Comuni scontano difficoltà finanziarie e di personale per gestire i progetti

Dalla Regione potrebbe arrivare un supporto valido per sostenere i Comuni più piccoli a partecipare ai bandi Pnrr e a garantirne l’esecuzione?
«Francamente credo di no. Come ho già detto, la Regione ha così tante e gravi carenze di capacità amministrativa, burocratica, progettuale, oltre che di reputazione pubblica, che difficilmente sarebbe in grado svolgere un “supporto valido”. La forza della Regione sono i soldi: potrebbe usarli per realizzare un fondo di rotazione per la progettazione destinato ai Comuni più piccoli e destrutturati, oppure, come peraltro hanno fatto Fondazioni private del Nord, per “forzare” con adeguati incentivi l’aggregazione “normata” dei comuni piccoli finalizzata alla partecipazione ai bandi Pnrr e all’internalizzazione progressiva di competenze. A mio parere, la Regione potrebbe/dovrebbe, infine, raccordare in modo stretto la nuova programmazione 2021-27 e gli annessi Fondi di coesione al Pnrr, evitando sovrapposizioni e duplicazioni e, soprattutto, provando a compensare le distorsioni insite nel “bandificio” Pnrr». (r.desanto@corrierecal.it)

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