COSENZA Attendibilità e credibilità. Caratteristiche necessarie per rendere valide e riscontrabili le dichiarazioni rese da chi manifesta la volontà di collaborare con la giustizia. Lo sa bene Danilo Turboli. Che a novembre 2022, ha deciso di collaborare con la giustizia per rendere edotti gli investigatori sui lati oscuri e segreti del “Sistema Cosenza”. Il pentito nel corso di nuovi interrogatori resi dinanzi ai magistrati della Dda di Catanzaro ha confermato quanto già anticipato in precedenza (leggi qui), ma aggiunto nuovi dettagli che riguardano persone a lui care. «Sono stato uomo a disposizione di Roberto Porcaro, i guadagni che reperivo essenzialmente dall’attività di spaccio, non li versavo io direttamente nella bacinella, ma sapevo perfettamente che il denaro corrisposto a Porcaro era parte di questa bacinella comune all’associazione». Fin qui, come detto, la conferma dei rapporti con Porcaro. Quest’ultimo viene chiamato in causa quando i magistrati chiedono dei rapporti con Alberto Turboli, fratello del pentito. «Con riferimento a mio fratello Albero Turboli, riferisco che egli aveva contratto un debito di usura con Roberto Porcaro all’incirca nell’anno 2018 per un importo complessivo di circa 40-44 mila euro.
Per rientrare in questo debito usurario, mio fratello prestava a sua volta denaro ad usura nella piena consapevolezza e condivisione dello stesso Porcaro che avvallando questa attività illecita di mio fratello, si assicurava il recupero del suo credito».
Alla narrazione fornita ai magistrati, il collaboratore di giustizia aggiunge un particolare di cui viene a conoscenza tramite la madre. Che avrebbe reso edotto Danilo Turboli circa l’attività di Rosa Falvo, moglie di Alberto Turboli. Sapevo «stesse riscuotendo i proventi dell’attività di usura svolta da quest’ultimo in sua vece, ed a seguito del suo arresto, mi veniva comunicata da mia madre e da altri miei parenti già al tempo dei colloqui avuti con i miei parenti, allorché fui tratto in arresto in “Testa di Serpente”». Quando Danilo Turboli si trova al carcere di Agrigento, «Falvo Rosetta in occasione di una video chiamata mi raccontava di una discussione, degenerata in un’aggressione fisica, avuta sotto casa con la moglie di Roberto Porcaro, Silvia Guido. La lite scaturiva perché la Guido pretendeva dalla Falvo che le consegnasse il denaro che mio fratello doveva al Porcaro. Al culmine della lite Guido peraltro danneggiava la macchina di Falvo». La video chiamata, prosegue. «Mia cognata mi raccontava che a seguito del litigio scriveva una lettera a Roberto Porcaro, che era detenuto presso il carcere di Voghera, riferendogli quanto accaduto. Porcaro, in risposta, inviava a sua volta una lettera a Falvo per riferirle che i suoi affari li stava curando la sua nuova compagna e che, pertanto, i soldi avrebbe dovuto consegnarli a lei».
Sulla figura del fratello, il pentito riferisce di un passato legato allo spaccio di stupefacenti. «Alberto ha spacciato in passato (all’incirca nel 2014-2015), ma poi, nel momento in cui sono subentrato io nell’attività di spaccio non ne ha voluto più sapere dirottando su di me qualche richiesta di stupefacente che gli è pervenuta». I magistrati chiedono lumi sull’attività di spaccio. «Mio fratello acquistava sostanze stupefacenti dal Porcaro per poi rivenderla ad altri spacciatori o consumatori finali. Voglio precisare che a differenza mia, che acquistavo sia droga pesante che droga leggera dal Porcaro, mio fratello acquistava prevalentemente hashish e marijuana. Voglio anche puntualizzare che, a differenza mia, che ero vincolato ad acquistare sostanza stupefacente da Porcaro, mio fratello poteva acquistarla anche da altri fornitori». (f.benincasa@corrierecal.it)
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