REGGIO CALABRIA Hope, nome di fantasia, è una delle tante ragazze nigeriane arrivate in Italia sperando di trovare condizioni di vita migliori e finite, invece, su un marciapiede. Trattate come schiave, costrette a prostituirsi e a subire violenze.
A Castel Volturno, in provincia di Caserta, vendeva il proprio corpo per ripagare un viaggio in cui ha rischiato di morire. Sonia Osazee era una delle sue aguzzine. Arrestata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per la gestione di un giro di prostituzione, avrebbe minacciato alcune connazionali che le avrebbe sfregiate con l’acido. Oggi è indagata anche dalla Dda di Reggio Calabria, che le ha notificato un avviso di conclusione delle indagini firmato dal procuratore Giovanni Bombardieri e dal sostituto Sara Amerio. Per gli inquirenti (le indagini sono state condotte dalla Squadra mobile di Reggio Calabria), Osazee «reclutava, introduceva nel territorio dello Stato ed ospitava la persona offesa sulla quale esercitava poteri corrispondenti al diritto di proprietà, mantenendola in uno stato di soggezione continuativa e costringendola a prestazioni lavorative di tipo sessuale, con minaccia (di uccidere la sua famiglia d’origine e di farla tornare in Nigeria), inganno (avendole rappresentato che sarebbe venuta per intraprendere degli studi), abuso di autorità (per essere di età superiore), approfittando di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica e psichica e di una situazione di necessità».
Sono trascorsi sette anni da quando Hope (che oggi di anni ne ha 29) si è ritrovata «sola, straniera, priva di competenze linguistiche e culturali, senza soldi, senza conoscenze e senza alternative esistenziali» al porto di Reggio Calabria. Lo sbarco risale al settembre 2016 ma la storia inizia due mesi prima quando, con alcuni complici, Sonia Osazee l’ha sottoposta al «rito “juju” con conseguente giuramento di non denunciare o parlare con la polizia se fosse successo qualcosa una volta giunta in Europa». La vittima sperava soltanto di poter studiare. I piani dei nigeriani e degli arabi che hanno organizzato il viaggio erano diversi. Partenza il 30 giugno 2016 da Benin City, poi un lungo cammino attraverso il Niger e la Libia, dove «è stata condotta – scrive il pm – dapprima presso un campo a Sebha, gestito da uomini arabi armati, ove è rimasta per due settimane e dove si sono verificati atti di violenza, venendo lei stessa picchiata più volte, poi a Tripoli per essere imbarcata su un gommone diretto verso l’Europa».
Dopo la traversata, a Reggio Calabria la ragazza segue gli ordini di Osazee e arriva in un centro di accoglienza a Napoli. Da lì, un uomo la porta a Castel Volturno. Hope non trova una scuola ma l’appartamento del «fratello di sangue soprannominato “Iziegbe”», al secolo Sunday Ediorans, 30 anni, anche lui indagato nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia. Quella casa diventa la sua prigione. «Veniva tenuta segretata – scrive la Dda nel capo di imputazione –, senza poter uscire liberamente e costretta a prostituirsi per ripagare, a detta della Osazee, il debito di 35mila euro dovutole come compenso per il viaggio e per i documenti, venendo minacciata a tal fine di morte o di essere rimandata in Nigeria da dove non sarebbe più potuta uscire, se non avesse ottemperato a tale imposizione». Sonia Osazee, è uno dei passaggi più drammatici dell’atto, avrebbe «pagato un uomo di colore per farle perdere la verginità e, dopo averla sottoposta ad un nuovo rito “juju” dal quale non si sarebbe potuta liberare, dall’ottobre 2016 l’avviava alla prostituzione, presso la medesima abitazione di Castel Volturno, per un anno e sei mesi». Inutili i tentativi di fuga.
La minaccia di rivolgersi alla polizia genera da parte della sua carceriera una risposta durissima: «La Osazee la faceva trasferire in Germania, precisamente a Karlsruhe, – scrive il pm – facendola accompagnare in treno dal fratello Sunday Ediorans presso una non meglio identificata sorella, a nome Juliet, anch’essa “madame”, con l’intento di farle continuare l’attività di prostituzione». Nuova fuga in Italia, dove Hope si nasconde in una struttura di accoglienza. Sonia a quel punto continua «a minacciare la sua famiglia in Nigeria facendo addirittura picchiare i suoi familiari». Quelle violenze avrebbero causato la morte del padre della vittima «a seguito di uno di questi pestaggi, moriva a causa delle emorragie interne». L’incubo continua: Sonia costringe la madre di Hope a darle il suo numero. La terrorizza: «Ricordati che mi devi i miei soldi! Devi saldare il debito! Hai fatto il rito». Arriva la denuncia, quel fardello pesante da raccontare alla polizia. Su questa storia tremenda la Dda, adesso, potrebbe chiedere il processo per Sonia Osazeee e per il fratello “di sangue” Sunday Ediorans. (redazione@corrierecal.it)
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