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l’inchiesta lombarda

‘Ndrangheta a Varese, i rapporti tra Barone e Valenzise e le preoccupazioni per i Mancuso. «Zio Peppe non esce più»

Dall’inchiesta della Dda di Milano i rapporti tra l’imprenditore e il nipote dei Mancuso. Valenzise tira in ballo un parente di Gennaro Pulice della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte

Pubblicato il: 02/04/2023 – 19:40
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Varese, i rapporti tra Barone e Valenzise e le preoccupazioni per i Mancuso. «Zio Peppe non esce più»

MILANO I legami con la ‘ndrangheta calabrese e il locale nel territorio di Varese e di Legnano-Lonate Pozzolo sono il filo conduttore dell’inchiesta della Dda di Milano che hanno portato all’arresto di sei persone, due delle quali finite in carcere. Nell’ordinanza firmata dal gip, infatti, oltre ai rapporti strettissimi tra Enrico Barone (cl. ’69) finito in carcere e Salvatore “Turi” Mancuso, ci sono anche quelli con Salvatore Valenzise, torinese classe ’66. Non un soggetto qualunque ma già coinvolto nella maxioperazione “Rinascita-Scott” della Dda di Catanzaro contro i clan di ‘ndrangheta vibonese e, soprattutto, parente di esponenti di spicco dei Mancuso, nipote di Giuseppe (cl. ’49), attualmente detenuto per duplice omicidio premeditato.

Le sorti giudiziarie dei Mancuso

Tutte le volte in cui i Enrico Barone e Salvatore Valenzise si sono incontrati nell’ufficio dell’imprenditore, i due hanno discusso quasi sempre delle sorti giudiziarie degli appartenenti al clan di ‘ndrangheta dei Mancuso. Un segno – scrive il gip – inequivocabile sul loro stretto collegamento non solo dettata dai rapporti familiari, ma anche in ragione della loro diretta frequentazione. «(…) un momento, così sai quando l’ho passato Enrico? (…) nel ’93, nel ’94, quando ai tempi si è dato latitante mio zio Peppe e a me è successo il fatto dell’erba». In questa conversazione, intercettata il 7 marzo 2020, Valenzise spiega a Barone i problemi avuti con le banche quando all’epoca lo zio, Peppe “Mbrogghia” Mancuso si era reso latitante nelle campagne di San Calogero.  «(…) non penso che esce più nemmeno zio Peppe» dice Barone a Valenzise che replica: «(…) perché l’hanno tolto dal 41? Perché quello, adesso quello ha parlato, c’è uno di cui non parla (…) non lo cacciano Enrico, ha 21 anni definitivi». In questa conversazione i due, secondo gli inquirenti, discutono ancora di appartenenti al clan che si ritrovano in carcere per scontare pene definitive.  

Il passato con Valenzise e le armi di “Franco”

«(…) ma io sai che non mi ricordo. Franco, quante pistole c’ha portato quella volta?». Dalle intercettazioni è emersa, inoltre, l’esistenza di rapporti molto opachi fra i due, verosimilmente legati al traffico d’armi. In particolare, è il 4 marzo 2020, Barone chiede a Valenzise se ricorda quante pistole abbia fornito loro un tale “Franco della Svizzera”. «(…) due mi pare? A chi le abbiamo date? Quella volta se li sono presi due siciliani dei suoi (…)  una e scaricata a Buscaglia, una se l’è presa Orlando stesso…». In un’altra conversazione intercettata Barone e Valenzise, è il 14 febbraio 2020, davano conto di aver nascosto, in passato, un fucile all’interno di un immobile adibito ad hotel che, alla data del colloquio, era in fase di ristrutturazione. Il riferimento è all’Hotel Ariston di Locale Varesino, chiuso per tanti anni e solo nell’ultimo periodo oggetto di lavori di ristrutturazione. «(…) mamma mia adesso trovano quel c****di fucile» dice Barone «(…) il soppalco… lo prendiamo più?» e Valenzise replica rassegnato: «No, ormai».

Il credito da recuperare

Gli inquirenti sono riusciti, inoltre, a documentare un altro tassello importante che delinea il legame tra Enrico Barone e Valenzise. Questa volta tutto ruota attorno ad un credito vantato da un costruttore che viveva a Montecarlo. Barone, parlando proprio con Valenzise, specifica di aver prestato un milione di euro che non ha mai però recuperato. «Gli ha dato i soldi a quel cogl**ne, sono 900 e rotti mila euro… veramente erano un milione in beni (…) però almeno mi dà i 900!». Valenzise «a questo punto si offre di aiutarlo – scrive il gip nell’ordinanza – attraverso un suo conoscente, un imprenditore – non indagato – che dice essere legato però alla nota famiglia di ‘ndrangheta di Lamezia Terme dei Cerra. «(…) ha un mondo di amici, questo è una persona seria» dice Valenzise a Barone «(…) un cugino s’è buttato pentito, questi sono dei Cerra, gli hanno fatto la guerra a Lamezia, questi pure fecero la guerra con Giampà, coi Torcasio, coi Cerra, capito?» «(…) lo avevano messo al coso sociale e faceva il guardiano al cimitero, Cerra, Cerra, Pasquale Cerra». E l’imprenditore – così come riporta anche il gip nell’ordinanza – avrebbe lavorato nel settore delle costruzioni «ed è un parente di Gennaro Pulice, elemento di spicco della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, prima di collaborare con la giustizia». (g.curcio@corrierecal.it)

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