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memoria e impegno

Strage di Capaci, a Siderno l’auto degli agenti della scorta di Falcone. «Un monumento simbolo di lotta alla mafia»

La testimonianza di Tina Montinaro, moglie del caposcorta: «Nella vita non c’è niente di più bello che camminare a testa alta»

Pubblicato il: 03/04/2023 – 17:22
di Mariateresa Ripolo
Strage di Capaci, a Siderno l’auto degli agenti della scorta di Falcone. «Un monumento simbolo di lotta alla mafia»

SIDERNO Una giornata all’insegna della memoria e dell’impegno con la preziosa testimonianza di Tina Montinaro, moglie di Antonio Montinaro, agente di polizia morto a soli 29 anni in una delle stragi di mafia che più hanno segnato la storia d’Italia: la strage di Capaci. Quel 23 maggio 1992, a bordo della prima delle tre vetture blindate che riaccompagnavano Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo a Palermo, c’erano i tre agenti Montinaro, Vito Schifani, e Rocco Dicillo, che morirono sul colpo. La loro auto fu quella investita con più violenza dalla deflagrazione nell’attentato attuato da Cosa nostra. Il numero 100.287 è quello impresso sul contachilometri dell’autovettura al momento dell’esplosione, lanciata a trecento metri di distanza dalla detonazione di 500 chili di tritolo.

La stessa auto, la Quarto Savona15, che questa mattina è rimasta esposta in una teca a Siderno, presso il Palazzetto dello Sport, durante un incontro a cui hanno partecipato autorità militari, civili, religiose, i referenti dell’associazione “Libera” e gli studenti delle quarte e quinte classi delle scuole di secondo grado del territorio sidernese.
Presenti, tra gli altri, il sindaco di Siderno Mariateresa Fragomeni, il questore di Reggio Calabria Bruno Megale, il vicequestore della Polizia di Stato Serafina Di Vuolo, il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, il vicario del prefetto Maria Stefania Caracciolo, il sostituto procuratore Grazia Tursi.

«Il messaggio che deve passare – ha detto nel corso del suo intervento il questore Megale – è “nessuna zona grigia”, si deve prendere una posizione netta, decidere da che parte stare». Avere davanti la Quarto Savona 15, ha spiegato il questore di Reggio Calabria, è come avere davanti «un monumento che ricorda la strage di Capaci, simbolo di lotta alla mafia». Per il vicario del prefetto Caracciolo è una «iniziativa che testimonia di cosa sia capace la criminalità organizzata. Dobbiamo consentire a tanti giovani – ha aggiunto – di rendersi conto della barbarie e della crudeltà di questo mondo criminale che non risparmia nessuno, nemmeno i bambini». «È una giornata – ha detto il sindaco Fragomeni – che oltre a parlare di legalità, parla anche di memoria. Non bisogna mai dimenticare il lavoro che è stato fatto e soprattutto l’insegnamento che hanno lasciato questi grandi uomini». Il primo cittadino ha espresso soddisfazione per la presenza di tanti giovani, ricordando che «la mafia, oltre che dei tribunali e delle forze dell’ordine, ha paura della cultura».

La testimonianza di Tina Montinaro

«Spesso non ci si ricorda del fatto che la scorta era fatta da poliziotti che avevano le loro famiglie a casa», ha detto Tina Montinaro raccontando così da dove nasce il suo impegno per ricordare tutte le vittime della criminalità organizzata. «Nella vita – ha detto rivolgendosi ai tantissimi studenti presenti – non c’è niente di più bello che camminare a testa alta, non dovete permettere a nessuno di farvi andare via dalla vostra terra. La memoria deve appartenere a tutti noi. Non dovete girarvi dall’altra parte». Portando in giro per tutta Italia quello che rimane della Fiat Croma blindata, nome in codice “Quarto Savona Quindici”, «voglio dimostrare a tutti voi di cosa sono stati capaci i mafiosi. La Quarto Savona 15 non l’hanno fermata – ha aggiunto – perché noi continuiamo a farla girare».

È fondamentale, ha detto Tina Montinaro ai microfoni del Corriere della Calabria, «far capire ai giovani che bisogna sapere cosa accade sul loro territorio, che non devono essere indifferenti, perché poi l’indifferenza fa sì che i nostri ragazzi debbano andare tutti via da queste meravigliose regioni. Proprio per questo è importante far capire cosa è successo 31 anni fa a Palermo». «Se i mafiosi – ha aggiunto – pensavano che fosse finito tutto quel giorno a Capaci hanno sbagliato, hanno fatto male i conti perché qui c’è la moglie di Antonio che continua ad andare avanti». (redazione@corrierecal.it)

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