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I giudici di Caltanissetta: «Non solo Cosa nostra dietro alla strage di via d’Amelio»

Depositate le motivazioni della sentenza sul depistaggio. «L’agenda rossa di Paolo Borsellino non fu rubata dalla mafia»

Pubblicato il: 06/04/2023 – 23:22
I giudici di Caltanissetta: «Non solo Cosa nostra dietro alla strage di via d’Amelio»

“L’istruttoria dibattimentale ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D’Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all’ eliminazione di Paolo Borsellino”. Lo scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Il processo si è concluso con la prescrizione del reato di calunnia aggravato contestato ai poliziotti Bo e Mattei e l’assoluzione del terzo poliziotto imputato, Ribaudo.

La tempistica della strage e la sparizione dell’agenda rossa

A dimostrare l’ingerenza di terzi soggetti sarebbero “l’anomala tempistica della strage di Via D’Amelio (avvenuta a soli 57 giorni da quella di Capaci), la presenza riferita dal pentito Gaspare Spatuzza di una persona estranea alla mafia al momento della consegna della Fiat 126 imbottita di tritolo e la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino”. “Non è aleatorio sostenere – si legge – che la tempistica della strage di Via D’Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto, di regola, a diluire nel tempo le sue azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali (soprattutto nel caso di magistrati) e ciò nella logica di frenare l’attività di reazione delle istituzioni”.
“La presenza anomala e misteriosa di un soggetto estraneo a Cosa nostra – concludono – si spiega solo alla luce dell’appartenenza istituzionale del soggetto, non potendo logicamente spiegarsi altrimenti il fatto di consentire a un terzo estraneo alla consorteria mafiosa di venire a conoscenza di circostanze così delicate e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti come la preparazione dell’autobomba destinata all’uccisione di Paolo Borsellino”.   
“A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di esponenti delle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile ad una attività materiale di cosa nostra”. E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio dedicato alla sparizione dell’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino. “Ne discendono due ulteriori logiche conseguenze. In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda.- scrive il tribunale – Gli elementi in campo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda, ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e, per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario o opportuno sottrarre”. “In secondo luogo, – concludono – un intervento così invasivo, tempestivo (e purtroppo efficace) nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire – non oggi, ma già 1992 – il movente dell’eccidio di Via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a cosa nostra di intervenire per alterare il quadro delle investigazioni, evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage (che si aggiungono, come già detto a quella mafiosa) e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio”. I giudici del tribunale di Caltanissetta hanno sottolineato “l’obiettiva ritrosia di molti soggetti escussi – non solo spettatori degli avvenimenti dell’epoca, ma anche attori, più o meno centrali, delle vicende oggetto di esame – a rendere testimonianze integralmente genuine che potessero consentire una ricostruzione processuale dei fatti che fosse il più possibile vicina alla realtà di quegli accadimenti”. “Tra amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (soprattutto i componenti del Gruppo investigativo specializzato Falcone- Borsellino della Polizia di Stato), – spiegano – e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative, rispetto alle quali si profila problematico ed insoddisfacente il riscontro incrociato”. “Senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, della falsità della collaborazione di Vincenzo Scarantino (e della falsa ricostruzione della strage di Via D’Amelio che ne è derivata) non si sarebbe acquisita certezza. Tale circostanza deve fare riflettere sulle possibili disfunzioni, sotto il profilo dell’accertamento della verità, di vicende processuali incentrate prevalentemente su prove di natura dichiarativa provenienti da soggetti che collaborano con la giustizia. In altri termini, si è assistito al fallimento del sistema di controllo della prova al punto da determinare che, in ben due processi, sviluppatisi entrambi in tre gradi di giudizio, non si riuscisse a svelare tale realtà” scrivono i giudici.

Salvatore Borsellino: «Confermata la strage di Stato. Bisogna anche dire chi sono i colpevoli»

“Finalmente una sentenza conferma quello che dico da 30 anni. E cioè che quella di via D’Amelio fu una strage di Stato e non solo di mafia e che l’agenda rossa fu sottratta da uomini dello Stato e non da uomini della mafia”. Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso con cinque agenti di scorta, accoglie con favore alcuni passaggi della sentenza del tribunale di Caltanissetta sul depistaggio. Ma sottolinea: “Questa sentenza descrive uno scenario, conferma il depistaggio ma non dice chi sono i colpevoli. Dice che è passato molto tempo ed è quindi difficile risalire ai colpevoli. Per questo mi sento scoraggiato”. Era lo stesso Paolo Borsellino a paventare, secondo il fratello, ciò che accadde in via D’Amelio. “Qualche giorno prima dell’attentato – aggiunge – mio fratello disse alla moglie: ‘Quando sarò ucciso sarà stata la mafia a colpirmi ma saranno altri ad avere voluto la mia morte’. Quegli altri, come ben sapeva, erano pezzi deviati dello Stato”. Per Salvatore Borsellino sono ancora significativi i passaggi della sentenza in cui si parla di “amnesie e contraddizioni” dei testi. Cita, tra gli altri, “il caso dell’ex magistrato Giuseppe Ayala che sul passaggio di mano della borsa con l’agenda rossa avrebbe dato varie versioni”. “Per una strage che ha cambiato la storia del nostro paese – conclude – la verità va cercata con ogni mezzo, anche dopo tanti anni. Altrimenti resterà una macchia indelebile nella storia italiana”

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