CATANZARO Un puro caso che Tommaso Trapasso, esponente di vertice dell’omonima cosca di San Leonardo di Cutro, sia divenuto suo testimone di nozze e gli abbia anche regalato l’abito da sposo. Umberto Gigliotta, 41 anni, agente immobiliare, imputato nel processo “Basso Profilo” con l’accusa di essere legato alla ‘ndrina in un rapporto di do ut des, giura che Trapasso, figlio del boss Giovanni, inizialmente non fosse stato nemmeno invitato al suo matrimonio. Lo conosceva dal 2008, è vero, non erano intimi e lo conosceva come imprenditore agricolo, ha affermato Gigliotta, alias “Mister Centomila”, oggi collegato in video conferenza con l’aula del Tribunale di Catanzaro. Un puro caso che un giorno Tommaso Trapasso abbia incontrato in un bar i due fratelli del promesso sposo mentre discutevano su chi di loro avrebbe dovuto fare da testimone. A questo punto si sarebbe inserito Trapasso, proponendosi quale elemento terzo e imparziale. Il fatto, però, suona “strano” alle orecchie dell’accusa – rappresentata in aula dal pm Paolo Sirleo – che chiede lumi sul perché un estraneo, nemmeno invitato alle nozze, sia divenuto testimone di nozze. «Se per lei è strano – risponde Gigliotta – per me è vergognoso». Gigliotta spiega di avere scoperto le accuse mosse a Tommaso Trapasso, attraverso l’operazione “Borderland”. Dice di essersi sentito «umiliato» e «tradito da Tommaso Trapasso», di «essere rimasto allibito» da quanto emerso dall’indagine “Borderland”.
Preso dallo slancio, che il presidente del collegio giudicante, Beatrice Fogari, dovrà a un certo punto contenere, Gigliotta afferma di essere nipote di un poliziotto «e fiero di essere tale». Ricorda che nelle intercettazioni lo si sente spesso parlare di questa parentela col poliziotto. Poi precisa che dopo l’arresto ha girato cinque istituti penitenziari «e qui i poliziotti non li chiamano poliziotti, lei lo sa», dice rivolgendosi al pm.
Allo stesso tempo, rispondendo alle domande degli avvocati Enzo Ioppoli e Vincenzo Cardone, Gigliotta afferma di non avere mai temuto di poter essere oggetto di misure di prevenzione. Lo scorso 30 marzo a Gigliotta sono stati sequestrati beni per quattro milioni di euro perché ritenuto gravemente indiziato di essere promotore di una organizzazione, composta da società “cartiere” cui erano preposti dei soggetti prestanome, finalizzata all’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. L’agente immobiliare, tratto in arresto nel 2021 con l’operazione “Basso Profilo”, è considerato al vertice di una associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, aggravata dal metodo mafioso. L’imputato dice di non avere mai intestato beni a terzi per cercare di sfuggire alle misure di prevenzione. E di non averlo fatto nemmeno nel 2016, quando è scattato l’operazione Borderland ed è stato arrestato Tommaso Trapasso. Dice di avere potuto sbagliare dichiarando, qualche volta, meno di quanto guadagnato ma di non avere mai agevolato o avvantaggiato le cosche.
Gigliotta è accusato anche di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso poiché avrebbe minacciato Liberato Paciullo, 69 anni, con l’intento di farsi restituire la somma di 5000 euro che questi (ritenuto una sorta di “testa di legno” dell’associazione capeggiata da Gigliotta, formalmente titolare della ditta Lipa) avrebbe riscosso, nell’interesse di Gigliotta, 5000 euro trattenendole per se.
A questo punto Gigliotta avrebbe fatto una serie di telefonate minacciose a Paciullo e alla figlia, minacciando anche di rivolgersi al clan dei Gaglianesi.
«Io non ho mai minacciato nessuno», ha detto l’imputato parlando di materiale non pagato e affermando di avere dato «per persi quei soldi» e di avere bloccato Paciullo sul telefono. «Io – prosegue Gigliotta – non conosco malavitosi di Gagliano». L’imputato afferma che le persone di Gagliano che dovevano parlare con la figlia di Paciullo erano amici di lei su Facebook. «Io sono imputato come mafioso ma se lo fossi stato avrebbero avuto paura», dice l’agente immobiliare.
Secondo l’accusa, le “teste di legno” che giravano intorno all’associazione manipolata da Gigliotta erano diverse. Tra le altre, la Procura indica Daniela Paonessa e il marito Ieso Marinaro, titolari della Dapa. Nel corso della perquisizione a casa di Gigliotta è stata ritrovata la carta di credito della Dapa. Gigliotta dice che lui ha avuto quella carta di credito a partire dal 2020. Come si spiega – gli chiede il pm – che risulti un pagamento di gennaio 2016, con quella carta di credito, per pagare i 680 euro di retta scolastica di sua figlia?
L’imputato spiega il fatto dicendo che tutto nasce da un incontro con Marinaro il quale aveva, in quel momento, bisogno di denaro, 680 euro. Gigliotta gli fa il prestito di 680 euro, quale restituzione, si fa pagare la retta della scuola della figlia la cui cifra corrisponde al prestito fatto a Marinaro.
Altra “testa di legno” viene considerato Luigi Alecce. E anche qui c’è un episodio legato all’ennesima società, la KG Immobiliare, che Gigliotta sostiene di avere dismesso in favore di Alecce nel 2016. Gli viene contestato che nel 2017 è stato trovato a bordo della Mercedes della KG Immobiliare nel corso di un controllo di polizia. Mercedes venduta per comprare una Porsche all’interno della quale è stato fermato nel 2019. Gigliotta spiega di essersi trovato alla guida delle auto ma non era solo: con lui c’era Alecce che, però, la polizia, in quelle occasioni, non ha identificato. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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