VIBO VALENTIA C’è uno spaccato di storia di ‘ndrangheta calabrese che risale ad oltre dieci anni fa. Nomi, affari milionari, traffici ingenti di cocaina e legami strettissi in una vera congiunzione tra Calabria, Sudamerica e Nord Italia. Intrecci svelati attraverso un enorme lavoro investigativo portato avanti dagli inquirenti e dalla Dda di Catanzaro, confluite nella maxinchiesta “Adelphi” culminata con il processo in corso davanti ai giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Per il processo con rito abbreviato, invece, il gup ha già emesso una prima sentenza solo qualche giorno fa.
Sono almeno cinque, però, le operazioni giudiziarie che hanno portato a decine di arresti e a svelare un vasto ed ingente traffico di cocaina che, dal Sudamerica, conduce fino al territorio Vibonese. Nomi di elementi di spicco con alle spalle il potentissimo e temutissimo clan di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi, colpito duramente a dicembre del 2019 con la maxioperazione “Rinascita-Scott” e che ha già portato alle prime condanne in abbreviato. Ma il presente affonda le radici in un passato recente incancellabile, confluito nel processo che vede coinvolte 70 persone che dovranno difendersi da accuse pesanti nel rito ordinario. Fra tutte, quella di aver importato quintali e quintali di cocaina da Colombia e Venezuela in Europa, poi in Italia e nel Vibonese, prima di distribuirla a Milano e nel nord Italia.
I primi risultati investigativi erano già emersi nelle inchieste condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Decollo, Decollo II e Decollo III, grazie al lavoro investigativo dei carabinieri del Ros. Dalla base operativa individuata nel Vibonese fino alle proiezioni a Milano e nel suo hinterland. Con la prima inchiesta Decollo, risalente al 2004, gli inquirenti erano già riusciti a ricostruire le dinamiche del gruppo criminale composto da esponenti del clan dei Mancuso di Limbadi e dei Pesce di Rosarno, promotori di un vasto traffico di cocaina tra Calabria e nord Italia, grazie essenzialmente ad una solida collaborazione con i cartelli sudamericani, tra Colombia e Venezuela. Tutto ruotava attorno a due figure fondamentali, Vincenzo Barbieri, ucciso in agguato il 12 marzo 2011, e Francesco Ventrici (c. ’72), ma anche Domenico Campisi, anche lui rimasto ucciso in un agguato di stampo mafioso a Nicotera il 17 giugno del 2011,chiamato a sovraintendere ai trasferimenti di cocaina dal Vibonese a Milano che, materialmente, erano effettuati da Francesco Antonio Campennì. Con “Decollo II” (Decollo Money) gli inquirenti della Dda di Catanzaro sono riusciti, poi, a mettere in evidenza gli ingenti quantitativi di droga trattati dal gruppo criminale: fiumi e fiumi di cocaina portati in Italia dalla compagine vibonese costituita da Barbieri e Ventrici – legata ovviamente ai Mancuso – e un gruppo colombiano costituito dai potentissimi narcos, ma anche una componente jonico-reggina capeggiata da Natale Scali e Pasquale Marando. E c’era anche una compagine spagnola, composta da emissari dei cartelli colombiani, e una australiana – espressione diretta dei vibonesi – con a capo Nicola Ciconte. A fine gennaio del 2011 scatta, poi, l’operazione “Decollo III”, blitz che porta ancora una volta all’arresto del duo Barbieri-Ventrici, insieme ad altre 26 persone. Con questa operazione la Dda di Catanzaro riesce a mettere le mani sul gruppo ritenuto responsabile dell’importazione di 255 kg di cocaina, sequestrata poi nel porto di Amburgo in Germania. Tre blitz insomma che, oltre ad accendere i riflettori su Barbieri e Ventrici, avevano accertato anche il ruolo di Domenico Campisi e Giuseppe Antonio Accorinti, finanziatori e referenti del potente clan Mancuso di Limbadi, ma anche interessato ad assumere un ruolo di controllo nelle operazioni di narcotraffico internazionale messo in piedi dal duo Barbieri-Ventrici, proprio perché referente Pantaleone Mancuso “Scarpuni”.
Altro durissimo colpo inflitto al gruppo criminale viene inferto grazie all’operazione “Meta 2010”, condotta dalla Dda di Reggio Calabria a novembre 2011 con l’ingente sequestro di ben 2.200 chili di cocaina. Nel mirino, ancora una volta, il defunto Vincenzo Barbieri, ma anche nomi relativamente nuovi. Tra questi Giuseppe Pugliese insieme ai figli Alessandro e Vincenzo, e poi Michele Vito Lassandro, Giuseppe Topia, Giovanni Mancini, Antonio Franzè e Giorgio Galiano. Un gruppo vasto e ben organizzato che, secondo le indagini, aveva provato ad importare in Italia ben 400 kg di cocaina, poi sequestrati a Bogotà, in Colombia, ma anche di una tonnellata di cocaina purissima e altri 1.200 kg, sequestrati prima il 12 novembre 2010 nel porto di Gioia Tauro, poi l’8 aprile 2011 nel porto di Livorno.
Fondamentale poi l’apporto investigativo della Direzione distrettuale antimafia di Bologna agli inizi del 2011. Risale al 3 agosto, infatti, l’operazione “Due Torri Connection” che ha visto il coinvolgimento di nomi già noti Francesco Ventrici (cl. 72), Angelo Mercuri (cl. ’68), Antonio Grillo detto “il Bisonte”, Italo Iannello, Giuseppe Simonelli detto “Paco”, e Nicolò Cataldo, ma salta fuori anche la figura di quello che diventerà poi un preziosissimo collaboratore di giustizia, Giuseppe Corsini, coinvolto direttamente nella trattativa di importazione di cocaina finita nel mirino della Dda di Bologna. In quell’occasione, oltre ad aver scoperto il tentativo di importare 1.500 kg di cocaina, l’inchiesta della Dda bolognese aveva dimostrato l’esistenza a Bologna di un radicamento di uomini della cosca Mancuso, dediti alla conclusione di trattative per l’acquisto di ingenti partite di cocaina con i narcotrafficanti colombiani, operanti in Spagna e in Colombia. Dall’indagine “Golden Jail”, scattata ad aprile del 2011 a Bologna, gli inquirenti stabiliscono la stabilità di rapporto tra Vincenzo Barbieri e Francesco Ventrici (cl. ’72) sin dal 2009, evidenziando anche lo stretto legame tra i due pregiudicati calabresi nella programmazione delle attività di reimpiego, prevalentemente nel settore immobiliare, degli ingenti capitali risultati ingiustificatamente nella loro disponibilità. In quella occasione, oltre alle acquisizioni ricavate dai servizi di intercettazione telefonica ed ambientale, fu particolarmente significativa la perquisizione eseguita dagli agenti della Squadra mobile di Bologna, il 26 giugno del 2009, a casa di Vincenzo Barbieri. In quella circostanza, infatti, furono trovati 118.295 euro, suddivisi in diverse mazzette, ed una Maserati, ma anche due fogli di carta manoscritti riportanti vari appunti e conteggi relativi a somme di denaro ingenti, fino a 2milioni di euro, sul quale erano anche indicati bonifici, fatture, spese di viaggio nonché di spese per un “chimico”. Su un ulteriore foglio di carta, invece, era riportato a penna il nome “Ismael” associato a due utenze olandesi e altri recapiti telefonici brasiliani e boliviani, verosimilmente inerenti ai traffici illeciti che già nel corso del 2009 Barbieri conduceva. (g.curcio@corrierecal.it)
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