ROMA «Sul caso Orlandi Papa Francesco e il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, vogliono che emerga la verità senza riserve». Era iniziata con questa frase consegnata al Corriere della Sera da Alessandro Diddi, promotore di Giustizia della Città del Vaticano nonché docente Unical, e si è conclusa con le parole di speranza pronunciate da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, uscito dal Sant’Uffizio dopo oltre 8 ore di faccia a faccia con il penalista, quella che probabilmente è la giornata più importante dal 1983, anno della scomparsa di Emanuela, a oggi. A distanza di 40 anni, infatti, il Vaticano e la famiglia dell’allora 15enne camminano fianco a fianco nella ricerca della verità. Ma cosa ha chiesto Pietro Orlandi alla giustizia d’oltretevere? Ha chiesto, e messo a verbale, di ascoltare alcune persone, che secondo lui sarebbero a conoscenza di circostanze fondamentali per ricostruire i passaggi della vicenda. Si tratta dei cardinali Re e Sandri, dell’ex comandante della gendarmeria vaticana Giani, del suo vice Alessandrini e dei procuratori Capaldo e Pignatone.
«Dal cardinal Re che all’epoca stava sempre a casa nostra – ha sottolineato Orlandi – e aveva relazioni strette con l’avvocato Egidio. Sapeva tutto quello che accadeva e qualche anno fa l’ho incontrato e mi ha detto che della storia Emanuela ha letto qualcosa. Dirmi cosi’ dopo tanti anni… è una delle persone a cui venivano mandati i cinque fogli sul trasferimento di Londra».
«Un’altra persona da ascoltare – ha aggiunto, parlando con i giornalisti dopo l’incontro con la magistratura Vaticana – è l’ex comandante della gendarmeria Giani, che ha fatto delle cose particolari sulla trattativa di Capaldo. Lui e Alessandrini». Pietro Orlandi ha chiesto a Diddi di sentire anche Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale dello Stato della Citta’ del Vaticano, che archiviò l’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela quando era capo della Procura di Roma. «Un’altra persona è il cardinal Sandri e lui dovrebbe essere a conoscenza che la prima telefonata e’ arrivata il 22 giugno», ha spiegato ancora uscendo dal Vaticano. «Le cose verbalizzate oggi non possono finire domani, devono avere per forza delle risposte e mi auguro che le persone che ho nominato vengano tutte ascoltate perché da lì possono uscire delle risposte», ha concluso Orlandi.
Ma non si è limitato a ricostruire verbalmente quegli anni il fratello di Emanuela. L’uomo, 66 anni, ha anche consegnato una memoria scritta Diddi, nella quale sono allegati anche gli screen shot di una chat tra un cardinale e un altro ecclesiastico con precisi riferimenti a Emanuela. «Ho parlato della trattativa avvenuta sulle indagini e dei documenti che ho in mano, della questione della pedofila che coinvolge alti prelati e di come queste cose potrebbero essere collegate. Ho trovato in Diddi molta disponibilità e l’intenzione di collaborare con la magistratura italiana», ha aggiunto.
«L’auspicio è che si possa fare luce dopo tanti anni e scrivere una pagina di storia, e sarebbe la prima volta in cui Italia e Vaticano avrebbero un vero scambio reciproco di elementi», ha detto l’avvocato Laura Sgrò che, in tutti questi anni, non ha mai abbandonato la famiglia Orlandi. È stata lei ad accompagnarlo all’ingresso, prima di lasciarlo solo al colloquio nella sua veste di testimone. Un incontro che il 66enne aspettava da ben due anni e che apre uno scenario nuovo di collaborazione. Di soffiate, dritte, delusioni, colpi di scena e vicoli ciechi in questi quattro decenni ce ne sono stati tanti. Quindi meglio non illudersi. Ma, grazie alla spinta di Papa Francesco, il vento sembra davvero cambiato e la verità un pò più vicina.
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