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scenari criminali

Spagnuolo all’Antimafia: «Cosenza non è Vibo Valentia, qui non c’è una ’ndrangheta tradizionale»

Il procuratore della Repubblica in audizione: «Oggi si ripropone un gangsterismo pericoloso». Il comandante dei carabinieri Spoto: «Manca la collaborazione dei cittadini». I clan in provincia. Appa…

Pubblicato il: 12/04/2023 – 16:23
di Pablo Petrasso
Spagnuolo all’Antimafia: «Cosenza non è Vibo Valentia, qui non c’è una ’ndrangheta tradizionale»

COSENZA «Cosenza non è Vibo Valentia, perché non ha insediamenti ‘ndranghetistici di tipo tradizionale [….], a Cosenza è stata sgominata e oggi si sta riproponendo una criminalità organizzata di tipo gangsteristico aggressivo, estremamente pericolosa, ma che tuttavia non ha i connotati della ’ndrangheta tradizionale. È 416-bis ma lo è con un altro modo di operare». Il frammento dell’audizione di Mario Spagnuolo davanti alla Commissione parlamentare antimafia offre uno spunto di analisi inedito sul fenomeno mafioso in terra bruzia. Perché arriva da una postazione privilegiata – quella dell’ufficio giudiziario che sovrintende al capoluogo e al suo hinterland – e da un magistrato che conosce bene anche la realtà di Vibo Valentia per averne guidato la Procura. La relazione finale sull’attività della Commissione non va oltre questo passaggio che pare riportare alla memoria un convegno per molti versi storico per gli studiosi della criminalità organizzata nella città dei Bruzi. Correva l’anno 1982; la città aveva visto (e vedeva ancora) cadere boss e affiliati in una faida (che sarebbe stata decennale) iniziata con l’eliminazione di Luigi Palermo, “U Zorro”. E l’Università della Calabria ospitava il convegno “Gangsters a Cosenza”, con una relazione dell’allora docente dell’ateneo Pino Arlacchi su “Gangsterismo e società a Cosenza: un’ipotesi interpretativa”. Vennero poi anni nei quali – lo hanno ipotizzato più di recente le inchieste della Dda di Reggio Calabria e Catanzaro sulla base delle dichiarazioni dei pentiti – le cosche cosentine sedevano al tavolo con le altre locali di ‘ndrangheta in momenti decisivi come quello della scelta sulla partecipazione alla strategia stragista di Cosa Nostra

«Nel territorio manca la collaborazione della popolazione»

Tornando al presente e ai giorni della missione della Commissione parlamentare a Cosenza, la relazione riporta quanto evidenziato all’epoca dal Comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza Saverio Agatino Spoto che «ha rimarcato la importanza attribuita dalle cosche criminali di ‘ndrangheta al controllo del territorio, in buona parte mantenuto anche successivamente all’esecuzione delle operazioni di polizia giudiziaria che momentaneamente disarticolano i sodalizi: questi cercano di riorganizzarsi con il reclutamento di nuove leve sia e in buona misura anche grazie al ritorno in libertà dei sodali al termine del periodo di detenzione». Torna, nella sintesi delle parole del militare, un altro dei temi storici della lotta alla ‘ndrangheta in provincia di Cosenza, un territorio «in cui manca la collaborazione della popolazione, atteso che l’imprenditore o la persona intimidita segnalano e denunciano ma, nella maggior parte dei casi, collaborano solo se messi di fronte al fatto compiuto». 

Cosche cosentine «specializzate nel riciclaggio»

Riguardo al capo d’azione dei clan della provincia, la relazione finale della Commissione antimafia spiega che «nel tempo le cosche del cosentino si sono sempre più specializzate nella perpetrazione di reati “di nicchia” finalizzati prevalentemente al riciclaggio e al reimpiego di capitali provenienti da attività illecite nonché nella gestione dei flussi finanziari derivanti dalla realizzazione di grandi opere infrastrutturali: attività di new economy che viene completata attraverso il riciclaggio di capitali ed il successivo reinvestimento in attività produttive localizzate in ambito nazionale e transnazionale».  

Il patto federativo per evitare i contrasti

Nella zona centrale della provincia e del capoluogo, sintetizzano i commissari, «si è registrata nell’ultimo periodo una strategia criminale indirizzata verso un rapporto ormai non più aggressivo tra le cosche, coesistenti sulla base di un patto federativo e con la creazione di un unico fondo-cassa in cui far confluire i proventi delle attività illecite (cosiddetta bacinella), frutto, in prevalenza, di estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, traffico d’armi, usura e rapine». Non è una decisione recente, ma «un assetto delineatosi circa dieci anni addietro quale soluzione ai contrasti insorti per il predominio nell’attività estorsiva e nel traffico degli stupefacenti».

Clan del Tirreno legati a Cosa Nostra e camorra

Le cosche della zona tirrenica, invece, avrebbero «la particolarità di aver esteso nel tempo la propria influenza, oltre che sull’alto tirreno cosentino, anche in Basilicata e nel salernitano, intessendo accordi con quei sodalizi criminali per lo spaccio di sostanze stupefacenti». E «recentemente è emersa l’esistenza ed operatività in Paola di una nuova cosca, naturale appendice del clan degli zingari di Cosenza, quasi completamente disarticolata; il Tribunale di Paola ha emesso nel 2015 una sentenza sui maggiori esponenti delle altre cosche e precisamente nei confronti di 44 imputati, accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, detenzione illegale di armi, munizionamento ed esplosivo, estorsioni, usura ed altro». Nella fascia tirrenica, poi, «le consorterie criminali risultano essere frammentate e al tempo stesso legate non solo fra loro ma anche ad altre associazioni mafiose, quali cosa nostra e la camorra, nonché alle maggiori realtà criminali calabresi». 

Sibaritide: appalti milionari ed equilibrio instabile

L’area della Sibaritide, invece, «si presenta come il contesto criminale di maggior fermento, dove vi sono consorterie in fase di assestamento che, secondo quanto riferito dagli auditi, non esclude la possibilità del reiterarsi di fatti di sangue». Le leve dei «mutati equilibri criminali» sarebbero «la gestione delle rilevanti ricadute finanziarie connesse alla progettazione e realizzazione di importanti opere infrastrutturali sul territorio, quali l’aviosuperficie nella Piana di Sibari, l’elettrificazione e riammodernamento della linea ferroviaria, i cantieri aperti per la costruzione del nuovo ospedale della Sibaritide e del cosiddetto “Megalotto” della Strada statale 106 Jonica». Affari lucrosi in un’area dagli equilibri incerti. Una miscela potenzialmente esplosiva. (p.petrasso@corrierecal.it)

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