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Le attività di security passano dagli “Zingari” agli “Italiani” e il clan cosentino si ribella

Il pentito Ivan Barone riporta indietro la memoria. La sicurezza nei locali della movida cosentina passa di mano e i proventi finiscono in un’altra «bacinella»

Pubblicato il: 14/04/2023 – 7:00
di Fabio Benincasa
Le attività di security passano dagli “Zingari” agli “Italiani” e il clan cosentino si ribella

COSENZA «Ho effettuato intimidazioni a scopo estorsivo ed ho incendialo autoveicoli e mezzi aziendali, ad esempio una ruspa nei pressi di un cantiere vicino al ponte di “Calatrava” ed altre azioni estorsive, tutte finalizzate ad agevolare il mio gruppo di appartenenza». E’ Ivan Barone a parlare, il nuovo pentito cosentino coinvolto nell’inchiesta denominata “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Attività estorsive, spaccio di droga, stipendi per i reclusi appartenenti ai clan della mala bruzia, Barone entra in tutte le attività illecite commesse per conto degli “Zingari” di cui era un fedelissimo.

L’attività estorsiva e il “premio”

Per l’attività estorsiva perpetrata a danno di commercianti e imprenditori, il collaboratore di giustizia riceveva «direttamente da Rango Maurizio e talvolta da altri soggetti del gruppo tipo Rocco Bevilacqua, uno stipendio di 200 euro a settimana, oltre ad una quota parte sul profitto delle estorsioni in occasione delle tre festività (Natale, Pasqua e Ferragosto). Il danaro non basta, almeno per i vertici del clan che vorrebbero “premiare” Ivan Barone con una affiliazione. «Che ormai era stata già decisa nonostante il mio scarso interesse». Al pentito, infatti, non interessava legarsi con il classico rito di ‘ndrangheta a nessun gruppo, preferiva restare un gregario a disposizione del clan e guadagnare il suo stipendio senza conoscere ulteriori piani e progetti della cosca. Ma anche «Ettore Sottile me ne parlava; infatti sia Rango che Sottile volevano portarmi allo stesso formale livello criminale di Domenico Mignolo e Danilo Bevilacqua (figlio di “Manu mozza”), che se ben ricordo, già all’epoca aveva la seconda dote di ‘ndrangheta». Anche in questo caso però la reticenza di Barone frena il percorso di affiliazione che tuttavia subisce un brutto stop per cause di forza maggiore. «Non si è realizzata perché Rango e Sottile vennero arrestati». Nonostante non fosse affiliato, Barone conosceva a fondo le dinamiche del suo clan. «Mi consideravano sostanzialmente un’azionista del gruppo».

La security dagli “Zingari” agli “Italiani”

In molte delle inchieste portate a termine negli ultimi anni contro i gruppi confederati del “Sistema Cosenza”, sono state più volte evidenziate le ingerenze nel controllo della security della movida cosentina. Barone cita «soggetti legati da tempo a Maurizio Rango attivi nel settore della sicurezza e dei “buttafuori” presso discoteche e locali notturni della città di Cosenza e sulla costa tirrenica». Secondo il pentito, «versavano a Rango una quota parte dei proventi legali di questa attività di sicurezza». Rango secondo i racconti del collaboratore di giustizia era al centro del business, almeno fino a quando gli arresti operati dalle forze dell’ordine non hanno sovvertito l’ordine stabilito e rimescolato le carte in tavola. Il nuovo uomo – citato da Barone – a capo della sicurezza avrebbe abbandonato gli “Zingari” per far «confluire i proventi nella bacinella degli “Italiani”». La circostanza sarebbe stata confermata anche da altri gruppi della Confederazione. «Siamo andati da Michele Di Puppo e nell’occasione ha detto che ormai la gestione delle attività di sicurezza nei locali notturni era in mano agli “Italiani”». Barone conclude: «Gianluca Maestri non era d’accordo pretendendo che almeno una quota tornasse al gruppo degli “Zingari”, sebbene Michele Di Puppo sostenesse che non vi fossero grandi guadagni». Una controversia che resta irrisolta «poichè siamo stati tutti arrestati».

(f.benincasa@corrierecal.it)

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