COSENZA La «totale assenza di collaborazione da parte dei cittadini» nella lotta alla ‘ndrangheta a Cosenza è uno dei tratti emersi dalla missione della Commissione antimafia in città nell’ottobre 2021. È il questore dell’epoca, Giovanna Petrocca, a fornire in audizione una chiave di lettura di un fenomeno che rende problematiche – non da oggi – le indagini. «Chiaramente – spiega ai parlamentari secondo quanto riportato nella relazione sull’attività della Commissione – Cosenza è una provincia molto particolare, in cui molto spesso si incrociano appartenenti a criminalità organizzata con soggetti cosiddetti – se posso usare il termine – perbene».
Sono questi incroci, sfioramenti tra mondi che non dovrebbero toccarsi, ad allargare la macchia della “zona grigia”. C’è il mafioso, spesso percepito come gangster di quartiere, figura che finisce per diventare quasi “familiare”. E ci sono i contatti con pezzi della “buona” borghesia, colletti bianchi che talvolta si prestano a operazioni di riciclaggio. Petrocca spiega ciò che accade su questo terreno sdrucciolevole, dove «a volte è difficile tracciare linee di demarcazione dove finisce il crimine, perché c’è una commistione di interessi, che cerchiamo di evidenziare, di portare a galla. In questo, io ritengo, dalla mia esperienza, che stia la differenza della realtà del territorio cosentino rispetto ad altri territori, come il Reggino e il Crotonese, dove ci sono demarcazioni ben precise».
È la seconda specificità cosentina – la prima, argomento di dibattito da decenni, è la distinzione anch’essa sottile tra ‘ndrangheta tradizionale e gangsterismo a cui fa riferimento il procuratore Mario Spagnuolo sempre davanti all’Antimafia – che emerge nella relazione. È in questo terreno che un consulente finanziario della “Cosenza bene” come Andrea Mazzei può far «avere a diverse persone dei clan i finanziamenti relativi al progetto “Resto al Sud”», secondo quanto racconta il pentito Giuseppe Zaffonte ai magistrati della Dda nel marzo 2019. Per arrivare ai finanziamenti pubblici il cosiddetto “gruppo Porcaro” – uno dei sette che farebbero capo alla federazione ‘ndranghetista di Cosenza – avrebbe bussato alla porta di uno degli studi di consulenza più in vista della città dei Bruzi. È in quelle stanze che si sarebbero incrociati boss, picciotti e «persone “perbene”», per dirlo con le parole dell’ex questore.
Non è un caso che la Commissione antimafia – e gli investigatori in audizione – si soffermi molto sugli aspetti delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia di Cosenza. Numeri imponenti e attività che portano l’analisi della Direzione investigativa antimafia anche al di fuori della provincia. «Nel 2019 sono state esaminate 131 società e oltre 2.300 persone fisiche; nel 2020, 127 società e 3.100 persone fisiche; nel 2021, 150 società e 2.300 persone fisiche; complessivamente nelle quattro Province sono state censite 86 cosche per un totale di 4.400 soggetti».
«L’attività di analisi della Dia – racconta la relazione – ha comportato anche il coordinamento delle indagini sui processi di costruzione e sviluppo dei territori colpiti dal sisma de L’Aquila e Amatrice, a cui si è poi aggiunta l’attività riguardante la realizzazione del ponte Morandi di Genova. In ordine a tali vicende sono giunte al centro operativo Dia calabrese richieste di informazioni provenienti da tutta Italia e alla data dell’audizione erano state trattate 45mila richieste di informazioni provenienti dal Ministero dell’Interno – 521 delle quali destinate al predetto centro operativo quale “centro-pilota” – riguardanti società con sedi allocate nel distretto di Catanzaro. Il lavoro ha consentito di «rilevare criticità su 161 società, per le quali sono state formulate le prescritte comunicazioni alla “struttura di missione”, trasmesse altresì per conoscenza all’Osservatorio centrale degli appalti istituito presso la Dia di Roma». (p.petrasso@corrierecal.it)
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