REGGIO CALABRIA Condanne annullate in Cassazione per gli imputati del processo “Trash”, nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella “Fata Morgana”. Erano stati giudicati colpevoli nel processo d’appello concluso nel novembre 2021 quando era stato assolto, invece, il boss Orazio De Stefano. I giudici di Piazza Castello, però, avevano condannato il nipote, Paolo Rosario De Stefano (14 anni di carcere), Paolo Caponera (a 12 anni e 4 mesi), Giuseppe Praticò (9 anni e 4 mesi) e Andrea Giungo (8 anni). Verdetto arrivato sulla scorta delle dichiarazioni di un pentito considerato però poco affidabile, come sottolineano i giudici della Suprema Corte.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, infatti, si è limitata a «condividere il giudizio di attendibilità espresso dal gup» nella sentenza di primo grado, «valorizzando la spontaneità» delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Aiello «senza approfondire l’indagine sulla personalità del dichiarante, sulle sue condizioni socio-economiche e sulla genesi della collaborazione, trascurando i rilievi difensivi centrati sui suoi rapporti con la criminalità organizzata, non limitati alla richiesta di protezione».
Gli imputati rispondevano, a vario titolo, di associazione mafiosa e di una serie di estorsioni aggravate dalla circostanza di aver agevolato la cosca De Stefano. Secondo i pentiti, avrebbero costretto la “Fata Morgana” a versare al clan una somma mensile di 15 mila euro ottenuti attraverso meccanismi di sovrafatturazione.
Il collegio difensivo (gli avvocati Francesco Calabrese, Emanuele Genovese,
Natale Polimeni e Giovanna Araniti) ha concentrato il proprio lavoro sulla mancanza di
di riscontri alle accuse mosse dalla Procura di Reggio alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Roberto Lucibello e Salvatore Aiello. Se sulle dichiarazioni di Lucibello ci sono «divergenze riscontrabili» che «meriterebbero una motivazione più puntuale», su Aiello invece pesano i trascorsi del processo “Meturos”, nel quale è stato già considerato «scarsamente attendibile» dal Tribunale di Palmi. I giudici, in sentenza, evidenziarono che «Aiello era una figura assai differente da quella che ha proposto in dibattimento. Ben lontano dal candore della vittima, Aiello appare nelle intercettazioni ammantato di tinte scure, che suggeriscono l’immagine di un vero e proprio infiltrato della criminalità organizzata nel sistema dei rifiuti».
Anche la Cassazione ricorda le intercettazioni risalenti al 2009 da cui emerge che Aiello ha cercato un accordo con il boss di Siderno Giuseppe Commisso, detto il “Mastro”, in relazione «ad alcuni affari che insistono sul territorio controllato dalla cosca». «La Corte di Appello – scrive, infatti, la Suprema Corte – ha minimizzato l’iniziativa dell’Aiello di recarsi da Commisso Giuseppe, detto il “Mastro”, capo dell’omonima cosca per chiedere, per conto della società (Fata Morgana, ndr), di essere favorito: la circostanza è stata svalutata, ritenendola un tentativo di trarre vantaggio dal rapporto avviato con i De Stefano». Il fatto che il collaboratore di giustizia non era stato ritenuto attendibile,
inoltre, «avrebbe imposto, anche alla luce dei rilievi difensivi, un’analisi più attenta in punto di credibilità soggettiva».
«La Corte di Appello – scrive la Cassazione – ha riduttivamente considerato il dispositivo, emesso il 23 luglio 2021 dal Tribunale di Palmi. Tale decisione è stata ritenuta assolutamente ininfluente sul giudizio di credibilità del collaboratore, atteso che, in mancanza della motivazione, non poteva stabilirsi se l’iniziativa del Tribunale fosse da ricondurre a un reato di natura dichiarativa o a un altro reato commesso dall’Aiello, ma non contestato in quel processo. Già tale risposta risulta inadeguata e inappagante perché elude il tema posto dalle difese, non potendo il dato considerarsi neutro e privo di ricadute sull’attendibilità intrinseca del collaboratore». È sulla scorta della motivazioni di “Metauros” che la Cassazione ritiene necessario un nuovo processo: le accuse di Aiello sono «ritenute inattendibili e mosse dal preponderante interesse ad allontanare, celare e negare le proprie responsabilità con inevitabile ricaduta sulla attendibilità del narrato al punto da inficiare la posizione di vittima del dichiarante, smentita dalle emergenze processuali, che ne avrebbero addirittura consegnato l’immagine di un infiltrato della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti». (redazione@corrierecal.it)
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