COSENZA «Le mie collezioni nascono per rendere omaggio alla nostra terra di Calabria. Sono nate esattamente 15 anni fa, quando ancora non c’erano i social, soprattutto Instagram. Quindi non si parlava di Calabria come luogo bello da visitare, ma c’era ancora quel pensiero di ‘ndrangheta, di un territorio buio. Invece noi, i calabresi che la viviamo 365 giorni all’anno, a 360 gradi, sappiamo benissimo che la nostra realtà è fonte di ricchezza e di bellezza. Io facevo mostre a New York, Parigi, Londra, Shanghai, ho esposto i miei quadri in tutto il mondo. Ma notavo che tutti mi chiedevano dove fosse la Calabria. Quindi ho iniziato a dipingere anche la Calabria, cosa che non avevo fatto prima». Luigia Granata è una artista e designer cosentina di successo. Da anni le sue opere vengono esposte in mostre permanenti a Milano, Firenze, Bologna fino a raggiungere gli Stati Uniti, la Cina e il Canada. Da qualche anno ha deciso di creato un’impresa, la GDesignItaly, per promuovere le sue collezioni fatte a mano dedicate alla moda e al design. Una nuova avventura che ha raccontato nell’ultima puntata di “Ti racconto un’impresa”, il format ideato da L’altro Corriere Tv e dedicato alle realtà imprenditoriali calabresi.
«Io non avevo mai dipinto i paesaggi – ha detto l’artista – ma praticavo una pittura mia, un po’ più moderna, introspettiva, concettuale. Ho iniziato, quindi, a dipingere i borghi, le bellezze, i frutti della terra, come la cipolla di Tropea. Ho omaggiato Gioacchino da Fiore, Federico II e tutti questi quadri, poi, li ho trasformati graficamente e riportati sui tessuti. E allora, quando portavo le opere all’estero e mi chiedevano dove fosse la Calabria, io dicevo “la Calabria è qui, è un luogo fisico, ma è un luogo di magia. Un luogo che ha accolto tanti popoli per tanti anni ed è ricco di culture varie”. Tutto ciò io adesso lo riporto sugli abiti che sfilano a Parigi, Londra, New York in modo da insegnare alla gente a riconoscere sia il mio dipinto che le bellezze e le caratteristiche peculiari di questa nostra fantastica terra. Naturalmente le collezioni sono tante. È nata la prima Camminannu pe Cusenza, proprio come collezione aziendale. E ho voluto lasciare anche il titolo in calabrese, proprio per dare ancora di più il senso forte di appartenenza a questo territorio. Devo dire che a Parigi è stato apprezzato tantissimo, soprattutto nel 2018 con una mostra che faceva parte di una Fashion Week. Da lì in poi sono andata avanti con tutte le collezioni tratte ad esempio dal Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore, il Codex Purpureus Rossanensis e c’è da dire che io accompagno ogni collezione con i cataloghi che parlano di ciò che è rappresentato sull’abito, con la loro storia. Noi non abbiamo niente da invidiare ad altre regioni dell’Italia che sono più conosciute. La Calabria ha un peso storico e culturale di grande valenza e grande valore, anche intellettuale».
Dopo anni di successi ottenuti in tutto il mondo, Luigi Granata ha compreso che era arrivato il momento di far conoscere ancora di più le sue collezioni fatte a mano. Ecco, dunque, arrivare la GDesignItaly. «Questa impresa – ha ammesso Granata – nasce quasi da una scommessa, perché qualche anno fa, insieme a una amica, abbiamo organizzato una mostra con sfilata di foulard dipinti da me per beneficienza. Si è rivelato un grande successo, ripetuto anche a Expo Milano 2015. In quell’occasione fui invitata dalla Regione a esporre questa collezione dedicata ai frutti della terra di Calabria. Subito dopo ho avuto richieste di acquisto da tutto il mondo. Essendo un artista, non sapevo come muovermi e a quel punto una mia amica mi ha detto: “Visto che ci sono tutte queste richieste, perché non apriamo un’azienda?”. In quel momento non mi sentivo ancora pronta a fare un passo del genere, al contempo ho iniziato però a far confezionare delle casacche per me e mettevo le foto sul mio profilo facebook. Da lì in poi la richiesta è aumentata ulteriormente, mi contattavano addirittura da New York, dall’Australia. C’era molta curiosità intorno ai miei prodotti, in molti mi chiedevano cosa rappresentassero le immagini sui foulard e sugli abiti da me disegnati. A quel punto ho deciso che era arrivato il momento di aprire un’impresa. È nata una piccola azienda artigiana nella quale ho coinvolto sarte e sartorie piccole di tutta Italia, da Como alla Calabria. A Como, così come a Varese, stampano le sete, le serigrafie artistiche come quelle che si trovano nei musei. Da lì vengono fatti tutti i passaggi, giungono in Calabria dove io disegno i cartamodelli e li faccio confezionare dalle sartine dei luoghi della nostra provincia».
I premi e i riconoscimenti ottenuti dall’artista cosentina sono molteplici. Sia in Italia che oltre i confini nazionali le sue opere vengono mostrate in pubblico e acquistate. Ma la soddisfazione più grande, forse, è l’ammirazione per il suo lavoro scoperto soprattutto negli ultimi anni dalla sua regione di origine. «La Calabria – ha rivelato Luigi Granata – mi rende un grande contributo. Questo avviene grazie alle persone che sono riuscite ad arrivare a me e a toccare con mano il mio lavoro. Perché quando le persone entrano nel mio studio, vedono sia la parte artistica che il lavoro di ricerca che svolgo nelle zone delle varie province, nei paesi, nei borghi intervistando anziani e giovani, chiedendo informazioni sulle tradizioni, le esperienze, le culture e tutto ciò che caratterizza un luogo e anche le leggende. Ho creato una collezione che si chiama appunto “Leggende”, in cui si parla del “Vello d’oro” di Ercole, la leggenda del Mantineo. Quindi la leggenda di Manto a Capo Vaticano, Alarico e tante altre. Presto usciranno altre novità che trattano i mosaici che abbiamo in Calabria, compreso quello di Casignana. Quando la gente nota il lavoro che c’è dietro queste opere, la soddisfazione è doppia. Ho ricevuto tantissimi premi riconoscimenti, anche a livello internazionale, ma i riconoscimenti ottenuti dalla mia terra sono ancora più graditi perché non è mai semplici essere profeti in patria. Ho trovato tante persone che hanno apprezzato il mio lavoro e questo non può che ispirarmi e stimolarmi ad andare avanti».
«Io – ha proseguito Luigia Granata – sono ispirata dalla magia di questa terra. Sono un’artista molto sensibile, nel senso che amo isolarmi. Sono cresciuta in Sila, nei boschi della Sila, già questo la dice lunga sul mio carattere. Sono molto introversa, contrariamente a quanto si possa pensare. Quindi tendo a cogliere la parte spirituale degli oggetti, la sacralità di ogni luogo. Questi aspetti producono una forte ispirazione in me che mi aiuta a creare sempre di più. Anche perché il tempo, la stagionalità, l’umore vengono condizionati da questi fattori insieme alla parte creativa. Ogni giorno posso interpretare, magari la cipolla di Tropea oggi e in un modo e domani sarà in un altro. Penso che tutti gli artisti vengano condizionati, però l’avere questo rapporto forte con la natura mi aiuta tantissimo».
Per l’artista cosentina la gioia, e non la sofferenza, rappresenta una fonte di ispirazione inesauribile. «Amo l’arte in generale – ha sottolineato –, amo il bello. Una cosa che secondo me è fondamentale nell’arte è l’armonia, se non c’è armonia già nei colori, nelle forme, è più difficile fare arte. Io ho una tavolozza molto variegata, difficilissima per qualunque altra persona da mettere assieme, perché utilizzo almeno 50 colori per ogni opera e devo veramente sforzarmi di usarne di meno quando faccio qualcosa di più specifico. Quindi, come detto, la prima cosa che guardo è l’armonia. Se trovo l’armonia e il benessere, allora riesco a dire “quest’opera è bella, mi fa stare bene”. Diversamente, se mi crea disturbo anche cromatico, lascio stare, non vado avanti. Sospendo tutto, anche la mia creatività si ferma. Quindi, al contrario di molti artisti, come i poeti, che quando sono tristi, quando subiscono una storia d’amore andata male vengono ispirati, io cerco la gioia in tutto per ispirarmi. Non amo la tristezza, come non amo il nero. Nei miei abiti è difficilissimo trovare il nero, se lo inserisco è perché vengo quasi costretta dalle richieste commerciali. Però per me tutto dev’essere vibrazione positiva e questo aspetto lo ricerco anche negli altri artisti, che siano attori, poeti, scrittori. Cerco qualcosa che faccia vibrare veramente le corde del cuore, che dia gioia e felicità, non tristezza e rammarico per qualcosa che non è andata».
Uno degli abiti di Luigia Granata rappresenta la nascita di Federico II nel 1194 sotto una tenda innalzata nella piazza di Jesi. «In questo caso – ha affermato – ho riprodotto un disegno preso da un altro dipinto che ritraeva proprio la nascita di Federico II. Io ho iniziato a disegnare, a schizzare col mio libretto da schizzi a Pentadattilo circa 35 anni fa, quando veramente il paese era abbandonato. Nessuno conosceva questo piccolo borgo. Ma è tutta l’area grecanica di Reggio Calabria, la parte jonica cosentina, il castello di Roseto Capo Spulico, Rocca Imperiale e tanti luoghi della sibaritide che ci raccontano tanta storia. Santa Severina, le Castella, Capo Colonna sono luoghi magici. Naturalmente il mio luogo del cuore in cui mi rifugio è la Sila, è la montagna, sono i pini. Ho anche una collezione che sta nascendo adesso, dedicata a Camigliatello. Poi c’è un altro luogo, la zona dei Rivocati a Cosenza, che è famosissima, è un luogo dove c’era un mercato, c’era la piazza viva della città, quindi un po’ una sorta di agorà bassa. Qui hanno aperto tante piccole botteghe artigiane, ci sono pellettieri e artisti. È stata rivalutata in questi anni. In più il centro storico di Cosenza ha un forte impatto culturale per tutta la Calabria. Abbiamo l’Accademia Cosentina, abbiamo il Teatro Rendano, insomma luoghi che raccontano tanta storia. C’è la confluenza del Crati col Busento e la leggenda di Alarico che l’ex sindaco ha portato avanti mettendo alla ribalta Cosenza per la curiosità di tanti escursionisti alla ricerca del famoso tesoro famoso. Tutto questo io l’ho raccontato nelle mie “Leggende”. Ho descritto la storia e la leggenda di Alarico in cinque abiti.
Dalla comunità arbëreshë Luigia Granata dice di aver assorbito il rispetto per l’abito. «Io – ha sottolineato l’artista – ho frequentato tantissimo San Demetrio Corone per La Biennale di San Demetrio e ho imparato ad apprezzare la cultura di quel popolo e quanto la cultura stessa fosse amata e difesa, soprattutto per quanto riguarda i costumi, gli abiti che hanno una simbologia immensa. Un po’ come accade per i nostri arazzi, i nostri tessuti, i tappeti della tradizione di Longobucco, San Giovanni in Fiore, ogni simbolo ha un suo perché e un suo significato specifico. Gli abiti arbëreshë, quindi i colori, la ricchezza e la bellezza di questi capi di abbigliamento, hanno finito per ispirarmi. E io ho fatto un omaggio proprio all’abito. I ricami che si trovano sia sui veli che sulla la gonna, li ho riprodotti ad acquerello e sono diventati dei dipinti. Successivamente questi dipinti sono stati trasferiti sui tessuti dei miei abiti».
«Le difficoltà nel realizzare i miei abiti – ha rivelato Granata – sono grandi, perché si tratta di abiti culturali e pezzi unici. Non una serie di abiti in produzione, come accade per quelli aziendali. La mia è sì una azienda, ma mantiene ancora le caratteristiche del pezzo unico del Made in Calabria. E per rimanere opera d’arte posso realizzare non più di nove pezzi. Io sono rimasta sui 2, 3 pezzi e ognuno ha una caratteristica diversa. Nessuno mantiene lo stesso disegno nella posizione, perché devono comunque essere capi unici. Per fare tutto ciò, purtroppo le difficoltà sono tante, perché anche se si crea un cartamodello e si piazza sul tessuto, sul tessuto nuovo bisogna piazzarlo in maniera diversa. Non può essere uguale, altrimenti sarebbero due pezzi uguali. L’intento, ripeto, è ricreare un’opera nuova. E questo per chi cuce diventa un problema, perché è un lavoro in più. È come se fossero tutti i pezzi unici sartoriali. Quindi anche i costi sono maggiori, le materie prime naturalmente sono di altissima qualità».
«Al momento – ha detto ancora Luigia Granata – esistono soltanto dei testi, delle ricerche, dei libri scritti da Luigia Iulianello che è una grande ricercatrice, oltre che appassionata, in cui è descritta la lavorazione antica degli abiti. Inoltre vengono riportati alcuni libretti e appunti delle tessitrici di un tempo proprio allo scopo di lasciare delle tracce del loro operato in Calabria. Noi non siamo riusciti, e parlo anche da presidente di Confartigianato Moda, a ricomporre una struttura anche di cooperativa per ricominciare a produrre la seta. C’è un inizio di esperienza a Mendicino, un’altra a Catanzaro, in provincia di Reggio c’è qualcuno che lo fa a livello artigianale, però ancora c’è poco movimento intorno a questo mondo. Io come azienda non posso andare da queste signore e comprare due metri di seta. Lavoro almeno mille metri all’anno di seta, quindi sono costretta a prenderla dai grandi distributori. Come dicevo prima, in Italia ho questa collaborazione con una azienda di Como che importa anche dall’estero. La migliore seta al momento e quella cinese.
In Italia Milano, Firenze e Bologna sono le città che hanno apprezzato maggiormente le esposizioni di Luigia Granata. «Lì – ha evidenziato l’artista – ogni esposizione che ho fatto ha venduto tutte le collezioni. Sono soprattutto le donne che apprezzano i miei prodotti, perché amano sentirsi diverse, belle, affascinanti e avere opere uniche e culturali. Questo elemento credo non vada sottovalutato. Possedere un elemento che parla di storia non è così semplice e scontato. Un medico donna newyorkese è venuta qui in Calabria, a Cosenza a conoscermi la settimana scorsa. Era curiosa di vedere di persona come creavo le mie opere. Lei da sette anni acquista online, questa volta è venuta nella nostra terra per provare gli abiti e acquistarli. Era contentissima. Più che chiedermi la taglia era curiosa di conoscere i soggetti delle mie opere, cosa rappresentassero e quale parte della Calabria emergeva. Indubbiamente questa per me è stata una grande soddisfazione. Creare cultura è il massimo che un artista possa fare. Adesso sto preparando una linea di design per la creazione di poltrone e oggetti d’arredo dedicati alla storia, sempre con i tessuti naturalmente. Ci sono le lampade, le tende, i tappeti, i divani, pezzi unici che parlano di tante cose, anche per esempio delle musiche antiche calabresi. Voglio cercare di riproporre in forma grafica, quindi in forma visiva, quello che era un canto piuttosto che un detto popolare».
«Non è semplice mantenere viva la curiosità dopo che si è parlato di un argomento – ha concluso l’artista cosentina –. Non si può confondere l’abito culturale artigianale con la moda perché la moda effimera cambia. L’abito culturale invece deve continuare a parlare, dev’essere come un libro di storia aperto. Il mio scopo quindi è quello di riproporre lasciandomi ispirare dal momento per creare quella determinata immagine o quel luogo in maniera diversa».
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