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l’audizione

Bombardieri: «Così la ‘ndrangheta crea “mostri” politici. E la società civile fa finta di niente»

Il procuratore della Dda di Reggio in Antimafia: «Alcuni personaggi vengono creati a tavolino e non possono sottrarsi al controllo dei clan»

Pubblicato il: 18/04/2023 – 7:01
di Pablo Petrasso
Bombardieri: «Così la ‘ndrangheta crea “mostri” politici. E la società civile fa finta di niente»

REGGIO CALABRIA La ‘ndrangheta crea “mostri”. E li chiama proprio così, in alcune intercettazioni. Quando il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, lo racconta ai parlamentari della Commissione antimafia, si riferisce in particolare a ciò che è emerso nel processo “Gotha”. L’audizione risale al 7 dicembre 2021: quel procedimento non ha ancora raggiunto (né al momento del racconto del magistrato né oggi) lo step del giudizio definitivo. Le parole di Bombardieri, però, servono a delineare uno scenario che descrive i rapporti tra ‘ndrangheta e società civile in riva allo Stretto. È un quadro preoccupante quello «in cui si è assistito negli anni passati a una commistione di interessi tra ‘ndranghetisti di razza, quelli più esposti, più conosciuti e noti al pubblico cittadino, e ‘ndranghetisti che, sotto una apparenza di presentabilità, i cosiddetti visibili, e sotto un’apparenza di onorabilità, costituivano la testa di ponte che consentiva alla ‘ndrangheta di controllare e di diventare soggetto inclusivo anche di realtà istituzionali locali». 
È la scalata delle cosche alla società e alla politica reggine, che «avveniva attraverso le società partecipate, che sono state oggetto di una serie di attività di indagine da parte dell’autorità reggina negli anni passati, e attraverso la creazione di quelli che loro stessi definiscono “mostri”». 

I politici costruiti a tavolino e poi controllati dalle cosche

Bombardieri introduce in questo passaggio il riferimento ad alcune intercettazioni del processo “Gotha”, «che sono veramente inquietanti», nelle quali «si parla della creazione dei “mostri”, che sarebbero quei soggetti che, dal nulla, vengono creati come soggetti politici di riferimento. Costoro, sapendo di dovere la loro elezione e il loro successo elettorale a determinati centri di potere non possono sottrarsi al controllo e alla eterodirezione da parte di quel diretto centro di potere». 
I clan creano «a tavolino uno spessore, un personaggio». Politici «che vengono costruiti attraverso riferimenti ad associazioni culturali, pseudo culturali, ad organismi associativi non riconosciuti, che legittimavano la presenza di questi soggetti. Quindi, un fenomeno veramente di particolare allarme, che riguardava la possibilità e la capacità della ‘ndrangheta di insinuarsi e determinare le politiche anche di un territorio come quello di Reggio e provincia. Ciò che più preoccupa, però, è che ciò avveniva nella consapevolezza di gran parte della città e senza che vi fosse una reazione, nel far finta di non vedere ciò che stava accadendo». Bombardieri analizza poi la (non) reazione della società civile rispetto a questo fenomeno preoccupante: «L’errore principale che c’è stato a Reggio Calabria – dice ai commissari – è pensare che fosse una realtà che non coinvolgesse e della quale non preoccuparsi perché non riguardava se stessi. In realtà, ciò ha provocato una serie di danni alla città di Reggio Calabria, con situazioni gravissime: una città povera, una città che non ha avuto capacità di reazione».

La suddivisione “mafiosa” del corso principale di Reggio Calabria

La suddivisione “mafiosa” del corso principale di Reggio Calabria

Questa (in)capacità di reazione si riflette, secondo il procuratore, anche sul comportamento degli imprenditori. In proposito, Bombardieri ha evidenziato la necessità di distinguere «il percorso di un imprenditore condizionato, vessato, vittima della ‘ndrangheta da quello di un imprenditore che, pur subendo inizialmente le pretese estorsive della ‘ndrangheta, ne diventa un meccanismo di espansione e di affermazione sul territorio». Grazie alla collaborazione e alla denuncia da parte di alcuni, è stato possibile aprire altre indagini e «ricostruire meccanismi di divisione del territorio. Ad esempio, l’indagine “Nuovo Corso” a Reggio Calabria è una indagine nella quale è stato accertato come, per il corso di Reggio Calabria, le cosche si dividevano il territorio e la possibilità di imporre il pagamento del pizzo ai vari esercizi commerciali in ragione della lunghezza del corso stesso. Per cui, da un punto ad un altro, la competenza era di una cosca, mentre da quel punto a quello successivo era di un’altra cosca e così via, con una suddivisione fisica dello spazio del corso fra le varie cosche di appartenenza.  Grazie ad alcuni imprenditori che hanno denunciato queste richieste estorsive, che hanno subito anche per lungo tempo, siamo riusciti a intervenire e, collocando queste dichiarazioni nell’ambito di un’indagine più ampia, siamo riusciti a ricostruire gli equilibri criminali che in quel momento la città stava vivendo e stava subendo fra le varie cosche storiche operanti a Reggio centro, quali i De Stefano, i Tegano, i Libri e i Condello». 

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Il core business della ‘ndrangheta, tuttavia, rimane il traffico di sostanze stupefacenti, «settore nel quale – sintetizza la relazione della Commissione – essa rappresenta una delle organizzazioni mondiali di maggiore pericolosità sia per i contatti con i cartelli esteri (colombiani, albanesi, etc.), sia per le ingenti risorse economiche e la disponibilità all’utilizzo di nuovi mezzi di pagamento (i bitcoin, ad esempio), sia perché dispone dei più potenti ed affidabili broker, tanto che anche cosa nostra ha dovuto fare ricorso a famiglie di ‘ndrangheta per fornire garanzie ai fornitori esteri». Il procuratore Bombardieri ha confermato quanto riferito da altri auditi in merito «alla netta ripresa delle importazioni attraverso il Porto di Gioia Tauro, dove tra il primo luglio 2020 e il 30 giugno 2021, sono state sequestrate oltre 11 tonnellate di sostanze stupefacenti e, nell’anno precedente ne erano state sequestrate circa 4 tonnellate e mezzo (a fronte dei circa circa 2,5-3 quintali sequestrati nel 2018)». La destinazione dello stupefacente non è soltanto l’Italia e, pertanto, «è frequentemente richiesto un coordinamento tra le Forze di polizia di vari Paesi (Paesi dell’Est come Montenegro, Croazia e Albania) anche per organizzare consegne controllate. Quale esempio è stata riportata un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza nel 2020: nel corso delle indagini è stata organizzata una consegna controllata di un carico, che passava da Gioia Tauro e che ha interessato cinque Paesi dei Balcani e che si era articolato con tre differenti destinazioni, conducendo a svariati arresti nei Paesi di destinazione». Il magistrato ha, quindi, «indicato una serie di iniziative volte a prevenire tali illeciti traffici, salvaguardando l’operatività del porto di Gioia Tauro, che costituisce un’importante occasione di sviluppo per il territorio calabrese anche alla luce del fatto che la ‘ndrangheta si serve, di ulteriori canali di ingresso: sequestri sono stati effettuati anche al porto di Livorno o in altri porti italiani, oltre che in porti del Nord Europa».  Questo perché la detta organizzazione criminale, dopo un periodo in cui è stata concentrata sugli appalti e sulle opere pubbliche, «è ritornata prepotentemente nel traffico di stupefacenti, con numeri che sono davvero di grande allarme: questo, infatti, è lo stupefacente che noi riusciamo a sequestrare; è evidente che non è tutto lo stupefacente che passa da Gioia Tauro». (p.petrasso@corrierecal.it)

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