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Il “sistema” del consenso gestito dal clan rom a Catanzaro. «Un pacchetto di voti costava 40-50mila euro»

La collaboratrice Annamaria Cerminara racconta la struttura della cosca e i presunti rapporti con la politica. «Passalacqua e Abramo si davano del tu»

Pubblicato il: 18/04/2023 – 14:39
Il “sistema” del consenso gestito dal clan rom a Catanzaro. «Un pacchetto di voti costava 40-50mila euro»

CATANZARO È la collaboratrice di giustizia Annamaria Cerminara a delineare, in una serie di interrogatori del 2018, la struttura di vertice della cosca degli zingari a Catanzaro e a raccontare agli inquirenti il sistema con il quale la politica avrebbe attinto al bacino elettorale controllato dalla criminalità rom. Cerminara parla dei contrasti con le cosche del Crotonese e «con persone di Roccelletta di Borgia» per le estorsioni e del tentativo di appianare i contrasti. E delinea «la composizione dei vertici del clan degli zingari di Catanzaro referenti della ‘ndrangheta, prima dell’uccisione di Domenico Viceloque alias “Mico rota liscia”». Per la pentita «Cosimino Abbruzzese alias “u tubu” era la figura di vertice nelle zone di Santa Maria fino al Lido, Luigi Veccelloque Pereloque alias “u marocchino” rappresentava un altro ruolo di vertice nella zona di Catanzaro Lido e dipendeva da Cosimino Abbruzzese, mentre Domenico Viceloque rappresentava la terza figura di vertice che operava su Germaneto». 

Le «riunioni di mafia» con le cosche del Crotonese

Secondo Cerminara «tutti e tre i soggetti erano intranei alla ‘Ndrangheta; avevano il potere di battezzare gli affiliati. Infatti la collaboratrice ha dichiarato che parlavano di “prima e seconda” relativamente alle cariche che loro conferivano». Tutti e tre, inoltre, avrebbero operato «sotto le direttive delle cosche crotonese e riferivano a Mario Ferrazzo». Giovanni Passalacqua, ex convivente di Cerminara e personaggio chiave del clan degli zingari, avrebbe rifiutato la proposta dei crotonesi di diventare «unico referente su Catanzaro», riconoscendo la gestione della triade. Cerminara riferisce di «riunioni di mafia» nel capannone di un inconsapevole uomo di Stalettì alla presenza di pezzi grossi della ‘ndrangheta crotonese come Mico Megna, «capo indiscusso della cosca di Papanice». Lo scopo era quella di ottenere una sorta di immunità per «alcuni imprenditori crotonesi che dovevano lavorare a Catanzaro e non dovevano essere avvicinati dal clan degli zingari». 

«Soldi in cambio di voti. I rom di Catanzaro sono un bacino elettorale»

Sono frammenti dell’inchiesta che servono a delineare la figura di Giovanni Passalacqua, la cui «versatilità criminale» sarebbe emersa nell’interrogatorio del 13 settembre 2018, «quando la collaboratrice di giustizia Annamaria Cerminara ha rappresentato che la comunità nomade di Catanzaro rappresenta un bacino elettorale per i candidati alle consultazioni amministrative e politiche». Passalacqua, racconta Cerminara in quell’interrogatorio, «gestiva tutti i gruppi nomadi di Catanzaro Sala, Lido e Germaneto». E «riceveva ingenti somme di denaro da soggetti che gli chiedevano i voti e si accordava con i capi nomadi che avevano il controllo delle zone». Ai quattro capi rom «corrispondeva parte delle somme di denaro» per «reperire i voti in favore del candidato prescelto». In una delle più recenti consultazioni elettorali – è sempre parte del racconto di Cerminara riferito nell’ordinanza – «Giovanni Passalacqua riscontrò che non corrispondevano i voti nelle circoscrizioni controllate da due referenti del clan». Ne venne fuori «una lite» con schiaffi e minacce di morte. 

Il sistema del consenso. «Il pacchetto dei voti costava 40mila euro»

Cerminara ricorda, in taluni casi in maniera piuttosto generica, che si sarebbero rivolti alcuni politici e aspiranti consiglieri. Qualche dettaglio viene menzionato sul sistema adoperato per indirizzare il consenso: «Passalacqua – ricorda la collaboratrice – dapprima corrispondeva a ciascun elettore nomade la cifra di 50 euro per indicare nella scheda elettorale la preferenza del candidato, in seguito corrispondeva all’elettore nomade la cifra di 100 euro quando quest’ultimo doveva indicare nella scheda elettorale la preferenza in favore di più candidati. (…) Solitamente il pacchetto dei voti al candidato costava 40mila euro». Cerminara evidenzia poi che «alle elezioni amministrative di Catanzaro tenutesi nel 2006, Passalacqua ricevette del denaro ammontante a circa 40 o 50mila euro» e riferisce di rapporti con ex consiglieri comunali e con «un imprenditore a nome Totò già citato in altri verbali di interrogatorio». 

«Con Giovanni Passalacqua, Abramo si dava del tu»

L’ex compagna di Passalacqua spiega anche che l’uomo avrebbe «ricevuto dal candidato Sergio Abramo (che non è indagato nel procedimento, ndr) la richiesta di voti in cambio di favori, ma non era al corrente se Abramo avesse mai corrisposto dazioni di denaro». Ricorda poi «che in un’occasione, quanto Sergio Abramo divenne sindaco di Catanzaro, si recò con Passalacqua» e altre persone in Comune «per risolvere delle necessità inerenti il figlio di Passalacqua», che avrebbe ottenuto l’aiuto dell’amministrazione comunale per un problema di salute. «Con Giovanni Passalacqua, Abramo si dava del tu», si legge nella sintesi delle dichiarazioni, tutte da riscontrare, della collaboratrice. (ppp)

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