CATANZARO Il «gruppo criminale» finito nel mirino della Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, «si inserisce in un quadro caratterizzato dalla pressione mafiosa sul territorio di Pistoia, Corvo, Aranceto, Germaneto e Catanzaro Lido». Quartieri di “frontiera”, i primi, nei quali la criminalità rom si è affermata nel corso degli anni. Piazze di spaccio e una generale percezione di controllo del territorio. Oggi, per i magistrati antimafia, le «condotte delittuose in materia di armi, stupefacenti, estorsioni e furti» sono «poste in essere con metodo mafioso». L’ipotesi investigative è che «il gruppo criminale in questione, denominato clan Bevilacqua-Passalacqua» sia «costituito da soggetti nomadi stanziali a Catanzaro organizzati con le medesime modalità delle associazioni ‘ndranghetistiche».
Una cosca rom in piena regola, la cui esistenza emerge (anche) da inchieste precedenti. Nelle operazioni “Maniscalco”, “Revenge”, “Ghibli”, “Rinascita” e “Jhonny” «è emerso che il clan degli zingari si è sviluppato sotto forma di elemento di supporto operativo nei confronti delle cosche storiche di Isola Capo Rizzuto, Cutro e di Catanzaro (clan Arena, clan Grande Aracri e clan Gaglianesi)». Con il passare del tempo, il clan «ha acquisito sempre di più una sua autonomia rispetto alle predette cosche fino a divenire un gruppo mafioso con un proprio programma criminoso che si inserisce nell’assetto ‘ndranghetistico in competizione con le altre associazioni mafiose».
Anche i collaboratori di giustizia – l’ordinanza fa riferimento ai pentiti Mirarchi, Oliverio e Cerminara – «hanno descritto un quadro molto nitido circa la capacità di intimidazione mafiosa da parte del clan degli zingari (attività che hanno coinvolto direttamente Luigi Veceloque Pereloque “u Marocchino”, Domenico Passalacqua “u Bifaru”, Maurizio Bevilacqua e Cosimino Abbruzzese)». Sarebbe emerso «che dopo il 2017 il clan degli zingari ha assunto una sua autonomia strutturale e operativa rispetto alle altre cosche di ‘ndrangheta grazie al fatto che le cosche operanti a Catanzaro, Cutro e Isola Capo Rizzuto, hanno conferito ai capi del clan degli zingari doti di ‘ndrangheta per consentire loro di interagire all’interno delle dinamiche mafiose». Un’«apertura» che avrebbe determinato «le condizioni perché gli zingari progressivamente acquisissero l’expertise necessaria per costituire un gruppo indipendente operante nel settore degli stupefacenti, armi, estorsioni e reati contro il patrimonio, avvalendosi della forza di intimidazione mafiosa».
La pentita Cerminara, in particolare, «ha precisato che alcuni capi del clan degli zingari avevano acquisito il potere di “battezzare” gli affiliati grazi alle elevate doti di ‘ndrangheta che avevano ricevuto». È emerso «che Cosimino Abbruzzese alias “u tubu”, Luigi Veceloque Pereloque alias “u Marocchinu”, Domenico Bevilacqua alias “Toro Seduti” e Domenico Viceloque alias “Mico rota liscia” erano tra coloro che avevano ricevuto doti di ‘ndrangheta». Un percorso, quello «verso l’autonomia del gruppo degli zingari», segnato «da momenti di forte contrapposizione con gli altri clan, come si ricava dagli omicidi di Domenico Veccelloque e di Domenico Bevilacqua». Strada accidentata con uno sbocco che oggi la Direzione distrettuale antimafia considera acquisito: «il gruppo degli zingari – si legge ancora nell’ordinanza – si è distaccato completamente dalle cosche predette e agisce autonomamente mediante la forza di intimidazione mafiosa per il perseguimento di un proprio programma criminoso». Lo proverebbero anche le decine di riunioni documentate nell’inchiesta antimafia. Veri e propri summit della nuova cosca. (p.petrasso@corrierecal.it)
x
x