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La «guardia» al servizio dei clan. «Tentò di convincermi a non pentirmi»

Il ruolo di Domenico Sacco delineato nell’inchiesta della Dda di Catanzaro. «Gli abbiamo comprato il divano… ora vuole anche la macchina»

Pubblicato il: 19/04/2023 – 16:42
di Pablo Petrasso
La «guardia» al servizio dei clan. «Tentò di convincermi a non pentirmi»

CATANZARO «Si faceva sistematicamente corrompere per fornire aiuto ai detenuti esponenti di organizzazioni criminali». Non è lusinghiero il giudizio del gip su Domenico Sacco, agente penitenziario arrestato nell’inchiesta della Dda di Catanzaro sulla nascita e affermazione del clan rom nel capoluogo. La «guardia» – così lo chiamavamo gli altri indagati nelle conversazioni intercettate – avrebbe «fornito un contributo essenziale per consentire a quel gruppo criminale di ottenere informazioni privilegiate, di veicolare messaggi tra  i capi e i sodali e di fare pressioni per evitare che alcuni partecipi collaborassero con la giustizia». 
I collaboratori di giustizia Santo Mirarchi e Annamaria Cerminara offrono ai magistrati del capoluogo spunti interessanti sull’attività di Sacco in carcere. 

La “sentinella” del clan nel carcere di Catanzaro

Mirarchi il 5 marzo 2016 racconta «che durante un periodo di carcerazione nella casa circondariale di Catanzaro Sacco lo ha aiutato ad avere contatti con l’esterno facendo entrare un telefono cellulare in cambio di 200 euro». Cerminara, da parte sua, riferisce che l’agente avrebbe «aiutato il suo ex convivente, Giovanni Passalacqua, informandolo circa l’intenzione di qualche detenuto di collaborare con la giustizia e circa i trasferimenti dei detenuti». Una sentinella dei clan di ‘ndrangheta all’interno del penitenziario, il cui apporto era fondamentale per la circolazione delle informazioni e anche per evitare orecchie (elettroniche) indiscrete. Questo è il ruolo che l’accusa ipotizza per Sacco. Che, sempre secondo la collaboratrice di giustizia, avrebbe anche avvertito «i detenuti di non parlare durante i colloqui avvisandoli che quei luoghi erano soggetti a intercettazione». L’agente avrebbe anche agevolato «la veicolazione di messaggi all’esterno nonché l’introduzione di pennette video nel carcere». 

La pentita: «Tentarono di convincermi a non collaborare con la giustizia»

Per i servizi offerti, Sacco – sempre stando ai verbali di Cerminara – avrebbe chiesto «denaro o altre utilità». Dietro la formula rituale si cela, in una circostanza, la richiesta («con insistenza») di «una autovettura per sostituire la sua Lancia Y che era “malmessa”». Tramite Giovanni Passalacqua e Cosimino Abbruzzese, l’agente avrebbe «ottenuto l’assunzione della moglie» prima in un esercizio commerciale e poi in un supermercato della zona di Santa Maria. La pentita va oltre e ricorda che «Sacco, tramite Giovanni Passalacqua (…) aveva tentato di convincerla a non collaborare con la giustizia e comunque a non rendere dichiarazioni su di lui, manifestando la disponibilità a pagare qualsiasi prezzo per il suo silenzio». 

«Dante gli ha comprato il divano… Ora vuole la macchina»

A riscontro delle parole dei pentiti, i magistrati della Dda di Catanzaro portano intercettazioni che si riferirebbero proprio ai rapporti della cosca con l’agente penitenziario. «Dante gli ha comprato il divano alla “guardia”», spiega Domenico Passalacqua. Che poi mostra fastidio per le altre richieste di Sacco: «Vuole comprata la macchina… vedi dove cazzo devi andare, vai». In una conversazione telefonica, «si è appreso – appuntano gli investigatori – che Domenico Passalaqua consegnava al pubblico ufficiale due mazzi di carte e due profumi, raccomandandogli di far recapitare il tutto al padre detenuto». Un altro dialogo, secondo gli inquirenti, confermerebbe la consegna dei “doni” e «nella circostanza si apprendeva che Domenico Sacco aveva comprato una bottiglia di grappa che avrebbe consegnato al detenuto». 

I “messaggi” per conto di «altri detenuti»

Sacco sarebbe intervenuto anche per recapitare messaggi ai detenuti. Nel caso di Ivan Rossello, lo scopo sarebbe quello di «garantirsi il suo silenzio». Sarebbe stato Domenico Passalacqua a incaricare l’agente «di comunicare a “Ivan” di “stare muto”, poiché aveva già parlato con chi di dovere e in serata avrebbe incontrato anche l’avvocato». Sacco, secondo gli inquirenti, cerca di rassicurare Passalacqua e inserisce “Ivan” nel suo giro. «Ne devo vedere più di uno», spiega. Per gli investigatori la frase ha un senso chiaro: «si vantava di svolgere il ruolo di intermediario con il mondo esterno per conto anche di altri detenuti». Un messaggero al servizio di interessi oscuri. (p.petrasso@corrierecal.it)

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