CATANZARO «Associazione di tipo mafioso con una struttura verticistica basata prevalente su vincoli parentali». L’ordinanza del gip di Catanzaro decresce plasticamente le caratteristiche del gruppo Bevilacqua-Passalacqua nella sua irresistibile scalata criminale che porterà il clan dei rom di Catanzaro a diventare cosca a tutti gli effetti, con propria dignità e soprattutto con propria autonomia, e non più semplice “manovalanza” delle consorterie che storicamente hanno dominato a Catanzaro. Una cosca a tutti gli effetti, dunque, e lo si evince dall’organizzazione “militare” che il gruppo si era dato, con ruoli ben definiti e gerarchie altrettanto delineate. Dagli elementi raccolti dagli inquirenti coordinati dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri e confluiti in quasi 1300 pagine di ordinanza emerge «innanzitutto la capacità del clan di opporsi ad altri clan mafiosi e dunque sotto questo profilo può affermarsi la sua collocazione su un piano omogeneo rispetto agli altri gruppi con le caratteristiche dell’organizzazione mafiosa». La considerevole capacità di intimidazione» e le estorsioni – annotano gli investigatori – «rappresentano un punto di forza dei clan mafiosi sia perché determinano le condizioni per esercitare il controllo capillare del territorio sia perché consentono di finanziare le casse del gruppo per la sua ulteriore espansione»: nello stesso alveo vanno poi considerate la detenzione di armi e la gestione della latitanza di uno dei capi (Luigi Vecceloque Pereloque). Dunque «il gruppo Bevilacqua-Passalacqua ha esercitato sui quartieri Pistoia, Corvo, Aranceto, Germaneto e Catanzaro Lido la pressione tipica delle organizzazioni mafiose».
E tipica delle organizzazioni mafiose è anche la strutturazione del clan, con vertici e subordinati: il gruppo – spiegano gli investigatori – «ruotava attorno alle figure apicali di Vecceloque Pereloque Luigi, Bevilacqua Massimo, Bevilacqua Luciano, Berlingieri Vincenzo, Passalacqua Domenico, i quali erano supportati da Bevacqua Ernesto, Berlingiere Massimo e Bevilacqua Armidio». E l’organigramma è così ricostruito nell’ordinanza, con compiti e competenze definiti: «Bevilacqua Massimo era il perno fondamentale del gruppo mafioso in quanto, grazie ai suoi rapporti con Gigliotti Mario (referente delle cosche di Isola Capo Rizzuto, ndr), ha consentito la transizione verso una collocazione autonomia del clan rispetto agli altri gruppi mafiosi, con conseguente conquista di una fetta del mercato delle estorsioni. Anche Bevilacqua Luciano, fratello di Massimo, aveva un ruolo apicale, in quanto insieme al fratello ha promosso le condizioni necessarie per far acquisire al suo gruppo la piena autonomia quale cosca di ‘ndrangheta. Bevacqua Ernesto aveva invece il compito di coordinare tutte le attività finalizzate a riscuotere i crediti derivanti dalle estorsioni anche grazie alla collaborazione stretta di Berlingiere Massimo (il quale tra l’altro aveva ricevuto una dote di ‘ndrangheta). Infine – è scritto nell’ordinanza del gip di Catanzaro – Passalacqua Domenico alias “Bifaru” era colui che si occupava prevalentemente del settore del narcotraffico coadiuvato da Bevilacqua Armidio, il quale si è attivato per mettere al riparo le attività criminali del gruppo dall’azione degli investigatori. Berlingieri Vincenzo erta la figura più anziana del gruppo che assicurava il rispetto e la dovuta considerazione da parte degli altri gruppi criminali. Vecceloque Pereloque era riconosciuto da tutti i sodali quale capo del clan, come è emerso chiaramente dalla vicenda relativa alla sua latitanza che ha visto tutto il gruppo compatto impegnato per proteggere la sua posizione e garantirgli la massima assistenza». (c. a.)
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