CATANZARO Sono stati assolti per «non aver commesso il fatto» Rosario Battaglia e Michele Fiorillo, noto come “Zarrillo”, (il primo difeso dagli avvocati Walter Franzè e Salvatore Staiano, il secondo da Diego Brancia) dai giudici della Corte d’Assise di Catanzaro. I due erano considerati dall’accusa e dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Andrea Buzzelli, i responsabili dell’omicidio di Antonio De Pietro avvenuto l’11 aprile del 2005 a Piscopio, nel Vibonese, nei pressi del cimitero. L’esecutore materiale sarebbe stato Rosario “Pulcino” Fiorillo la cui posizione è stata stralciata perché all’epoca dei fatti aveva appena 15 anni. Michele Fiorillo è già stato condannato a 12 anni nel processo “Rimpiazzo” e a 5 anni, in abbreviato, nel processo “Rinascita-Scott” mentre stanno già scontando trent’anni di carcere sia Rosario Fiorillo che Rosario Battaglia per un altro omicidio, quello di Fortunato Patania, ucciso il 18 settembre del 2011 all’interno della stazione di rifornimento con annesso ristorante “La Valle dei Sapori” nella Valle del Mesima.
Crolla, dunque, il castello accusatorio nei confronti dei due imputati che, secondo l’accusa, avevano ideato e messo in pratica l’omicidio. Secondo la ricostruzione, infatti, sia Battaglia e che Michele Fiorillo avevano progetto il piano omicidiario per aiutare il giovane Fiorillo a lavare l’onta del disonore. La mamma, Maria Concetta Immacolata Fortuna, si sarebbe invaghita di De Pietro, una relazione extraconiugale a causa della quale la donna stava dilapidando il proprio patrimonio. Tesi portata avanti nel corso del processo dalle dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta, Andrea Mantella. «La mamma – ha detto nel corso del processo – si era totalmente invaghita di questo del sindacato che addirittura aveva speso un patrimonio, gli faceva regali costosissimi a questo amante, quindi stava rovinando la famiglia che per questo ha deciso di salvaguardare sia l’onore e sia il patrimonio». Insomma, un omicidio di stampo ‘ndranghetistico perché – come spiega Mantella – se si vuole applicare la regola della ‘ndrangheta «la mamma andrebbe perdonata, come figlio anche, come uomo va condannata, questa purtroppo è la gerarchia quindi certo, era un disonore».
È ancora Andrea Mantella a descrivere, nella sua deposizione, il piano per l’omicidio di De Pietro. «Il “Pulcino” – ha spietato – ha chiamato con una scusa l’amante della mamma, De Pietro, per un finto appuntamento ma in realtà era tutto organizzato». Anche perché vicino al cimitero dove poi l’uomo è stato ucciso, secondo il racconto di Mantella, c’erano due motociclette e motorini «facevano impennate, facevano finta che giocavano ma il progetto omicidiario era già organizzato». «Ricordo – spiega ancora il pentito – che Fiorillo l’ha sparato in testa, una cosa del genere, lo uccide. Pulcino scende dalla macchina e sale sulla motocicletta con Michele Fiorillo che lo accompagna poi dentro ad una strada sterrata, in località Muteri di Francica e poi Gasparro lo prende con una Panda bianca». Secondo il racconto del pentito, poi, sulla scena del crimine erano presenti anche Rosario Battaglia e Michele Fiorillo “Zarrillo” pronti ad intervenire in caso il giovane Fiorillo non avesse avuto il “coraggio” di uccidere De Pietro.
Nel corso del processo è stata chiamata in causa anche Maria Carmela Fortuna, sorella della mamma di Rosario Fiorillo, nota come la “Diavola”. Secondo il pentito Mantella la donna «si sentiva la più disonorata da questa relazione della sorella, si sentiva tradita nella loro ideologia, e così incitava il nipote affinché prendesse dei provvedimenti tanto è vero che il papà alla fine, che non c’entrava niente poverino, non è stato capace di intervenire e vendicarsi». «Ma – racconta Mantella – di cosa ti devi vendicare? L’hanno trattato come un babbo, come uno stupido, l’hanno messo da parte e quindi la sorella della mamma ha preso le redini. Anche perché sono cugini, il disonore era sia dei Fiorillo che dei Battaglia, quindi le corna – spiega il pentito – per usare un linguaggio ‘ndranghetistico, sarebbero state di tutti, quindi era interesse di tutti lavare questo disonore». (g.curcio@corrierecal.it)
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