COSENZA Intere aree segnate dal tramonto demografico, dalla fuga dei residenti e dal basso tasso di natalità. Accade in Calabria, in quei piccoli borghi quasi rassegnati allo spopolamento. Una regione che perde oltre «1.000 residenti ogni anno e che nel 2119 potrebbe ritrovarsi con una popolazione pari a zero». Non sono congetture o mere e pessimistiche previsioni, ma numeri e dati contenuti in una ricerca empirica condotta da 28 ricercatori dell’Università della Calabria. «Quando parliamo di Mezzogiorno, parliamo di una pluralità di universi molto distanti. Basti guardare la Campania, la Puglia rispetto alla Sicilia, alla Calabria, alla Basilicata ed ovviamente, anche all’interno della Calabria, possiamo parlare di eterogeneità dei contesti con province più sviluppate di altre, con alcune che hanno anche una geografia e una storia diversa dalla dalle altre», dice al Corriere della Calabria Vincenzo Fortunato, docente Unical e direttore della Scuola Superiore di Scienze delle amministrazioni pubbliche. «I gap aumentano, le disuguaglianze pure ed abbiamo bisogno di buone politiche, di una classe dirigente avveduta che sappia intercettare anche i risultati della nostra ricerca e prendere le giuste decisioni».
Il crollo demografico coincide con la drastica diminuzione della popolazione scolastica. Una situazione fotografata dai dati Istat rielaborati da OpenPolis. Nei comuni interni si registra un calo dei residenti in proporzione alla distanza dai servizi. Nei comuni più remoti, i residenti sono il 4,5% in meno del 2011. L’analisi dei ricercatori Unical dedica un capitolo proprio alla «scuola dei pochi», come racconta ai nostri microfoni la professoressa Emanuela Pascuzzi. «Abbiamo analizzato, nella ricerca, le caratteristiche attuali della scuola nelle aree interne. C’è una diffusa presenza dei plessi di base, non della scuola primaria, però allo stesso tempo un’offerta molto scarna della scuola secondaria superiore», aggiunge. Questo che cosa significa? «Che i pochi che ancora vivono nelle aree interne hanno la possibilità di un’offerta scolastica a chilometro zero, anche con opportunità educative, che però sono limitate, perché – per esempio – in base ai parametri ministeriali diversi progetti (Pon e Por) ci dicono i dirigenti scolastici intervistati non sono attivabili nei plessi se non si raggiunge un numero minimo». Per quanto riguarda, invece i ragazzi delle scuole superiori «devono muoversi per raggiungere un istituto secondario superiore. Viaggiando ogni giorno per più di un’ora». In futuro, cosa potrebbe accadere? «Se non si invertiranno i trend demografici, non ci saranno più bambini. Certamente possiamo puntare sull’accoglienza di popolazioni straniere, ma anche in questo caso non avremo un aumento consistente della popolazione in età scolare». Qual è la soluzione? «Noi abbiamo pensato e riflettuto e crediamo che sia opportuno un passaggio dalla scuola dei pochi alla scuola per i pochi». Ci spieghi meglio. «Anche se gli studenti sono pochi, è necessario lavorare con loro e lavorare per loro, adottando delle metodologie pedagogiche e didattiche adeguate. Una scuola diffusa in cui il territorio entra nell’istituto, nelle aule. Immagino, insegnanti e dirigenti incentivati a restare e mettere radici e anche insegnanti e dirigenti formati per lavorare con le pluriclassi, cioè classi di studenti che non hanno la stessa età. Vi sono già degli esperimenti in Italia, come la rete delle piccole scuole o le sperimentazioni promosse dalla Snai. Dobbiamo lavorare in questa direzione».(f.benincasa@corrierecal.it)
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