COSENZA Estorsioni, danneggiamenti, intimidazioni e reati contro la persona ed il patrimonio commessi a Cosenza e nei comuni dell’hinterland. Sono alcuni dei reati contestati agli imputati del processo scaturito dall’inchiesta denominata “Overture”, in corso dinanzi al Tribunale di Cosenza, in composizione collegiale. Nel corso dell’ultima udienza, si è tenuto il controesame di un agente di Pg e l’esame di due carabinieri in servizio presso il comando provinciale di Cosenza. Tutti hanno riferito del lavoro svolto in fase di indagine, poi conclusa all’alba del 25 gennaio 2020 sotto il coordinamento della Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.
L’attenzione del pubblico ministero Cubellotti e degli avvocati del collegio difensivo si è concentrata sul monitoraggio da parte degli investigatori di un magazzino posto alle spalle di un oleificio. Il luogo dove presumibilmente alcuni degli indagati avrebbero nascosto la droga. «La videosorveglianza era posta sul versante opposto al frantoio dove dietro vi era un magazzino, seminterrato, il cui ingresso era precluso da una porta metallica», racconta il teste. «Le immagini – continua – riprendevano tutto grazie ad uno zoom ottico». Secondo il racconto dell’agente di pg, il monitoraggio è avvenuto «un mese prima dell’arresto di Vincenzo Laurato». I soggetti che si sarebbero recati al magazzino «ogni due o tre giorni» erano lo stesso «Vincenzo Laurato, Luca Imbrogno e in una unica occasione Alfonsino Falbo». Cos’ha catturato l’occhio attento delle telecamere? «Si vedono alcuni soggetti che escono da un magazzino con alcuni pacchetti, la certezza del contenuto degli involucri è arrivato quando abbiamo arrestato Laurato». Il resto dello stupefacente trovato nel frantoio «era confezionato allo stesso modo». Ci sono videoregistrazioni che ritraggono chiaramente Laurato nei pressi del magazzino?, chiede l’avvocato Gianpiero Calabrese, difensore dell’imputato. «Le immagini hanno ripreso in due occasione Laurato», con in mano una busta trasparente e un’altra nera ma senza nessuna informazione certa sul contenuto.
Uno dei due carabinieri chiamati a testimoniare, ha raccontato di una attività di perquisizione svolta nel 2017, nel magazzino dove alcuni imputati avrebbero nascosto la droga, ma anche delle armi. «Abbiamo rinvenuto della droga del tipo hashish suddivisa in panetti e occultata in un cestino posto all’interno del magazzino», specifica il teste. Come emerso nell’inchiesta, al termine della perquisizione, i militari rinvenirono «occultato al di sotto di uno scaffale in legno, un involucro creato mediante un sacco dell’immondizia di colore nero, contenente un fucile marca “Colt”, modello “ARI5 (M16) SPORTER II”, calibro 222 Remington, con matricola punzonata». All’interno del medesimo involucro, erano contenuti: «un caricatore con all’interno 5 cartucce marca Sako calibro 222 Remington; 15 cartucce marca Sako calibro 222 Remington in scatola; 50 cartucce marca Geco calibro 380 Auto in scatola di plastica gialla e nero; 10 cartucce marca GFL calibro 765 nella stessa scatola di plastica gialla e nero; 12 cartucce marca MFS calibro 9×21 nella stessa scatola di plastica gialla e nero; 2 scovolini per pulizia armi nella stessa scatola di plastica gialla e nero; una cartuccia marca GFL calibro 223 Remington; un caricatore bifilare calibro 9 corto da 10 colpi, vuoto; un caricatore monofìlare calibro 7.65 vuoto».
A prendere la parola è l’avvocato Antonio Quintieri per la posizione del suo assistito, Riccardo Gaglianese. Che secondo l’accusa «acquistava dal gruppo cospicui quantitativi di cocaina e, tramite una rete di pusher, provvedeva alla successiva commercializzazione». Di Gaglianese – dice il teste – «abbiamo segnalato alcuni passaggi di droga all’interno della sua abitazione». Avete eseguito delle perquisizioni a casa di Gaglianese e se si con quale esito?, chiede il legale. Il teste risponde: «Abbiamo eseguito numerose perquisizioni concluse con esito negativo». Tocca all’avvocato Maurizio Nucci procedere con l’esame del testimone in merito alle accuse mosse nei confronti del suo assistito, Gianfranco Sganga. Considerato «promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione, anche in virtù della sua passata appartenenza al gruppo criminale organizzato denominato “Cicero”, per la quale era stato già condannato con sentenza passata in giudicato». La vicenda contestata all’imputato, in concorso con altri due soggetti, riguarda una presunta «intimidazione e successiva riscossione del denaro frutto dell’estorsione» nei confronti dell’impresa di costruzioni edili “De Nisi Tommaso”, ditta consorziata assegnataria dei lavori di ampliamento all’interno dell’Ospedale Civile “Annunziata” di Cosenza». Secondo l’accusa, l’imprenditore sarebbe stato costretto a consegnare loro la somma di 7.500 euro quale prima franche di una quota più ampia, corrispondente al 20% dell’ammontare complessivo dell’importo dei lavori in fase di esecuzione». L’avvocato Nucci chiede se in merito all’episodio della tentata estorsione a De Nisi, sia mai stata intercettata una captazione tra Sganga e gli altri soggetti coinvolti nella vicenda. «No», risponde senza esitazioni il teste.
(f.benincasa@corrierecali.it)
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