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IL PROCESSO

Omicidio Pagliuso, in appello rinnovate le richieste all’ergastolo per i mandanti

Il pg Marisa Manzini ha ripetuto la requisitoria a seguito del rinnovo del collegio giudicante e l’ascolto di due testi

Pubblicato il: 28/04/2023 – 11:45
Omicidio Pagliuso, in appello rinnovate le richieste all’ergastolo per i mandanti

CATANZARO Il sostituto procuratore generale Marisa Manzini ha invocato nuovamente l’ergastolo nel confronti di Pino e Luciano Scalise, padre e figlio, già condannati a fine pena mai in primo grado quali mandanti dell’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso. Nuova richiesta (con le stesse condanne) dopo quella invocata al termine della requisitoria lo scorso febbraio, a seguito del rinnovo del collegio giudicante e l’ascolto di due testi: Antonio Scalise, 45 anni, e Mirella Raso, 42 anni. Il pg ha chiesto, inoltre, la condanna a sette anni per Andrea Scalzo (un ricalcolo della pena di otto anni e due mesi comminata in primo grado), e la conferma delle pene per Angelo Rotella, 8 anni e 4 mesi; Vincenzo Mario Domanico a 6 anni e 8 mesi di reclusione.
Il procedimento, denominato Reventinum, contempla la faida che si è sviluppata tra i paesi situati sulle pendici del monte Reventino nel Lametino.
Secondo l’accusa, come formulata dalla Dda di Catanzaro, sia Pino che Luciano Scalise, «in concorso morale e materiale tra di loro, quali capi dell’omonima cosca ed in qualità di mandanti, e con il killer Marco Gallo (condannato all’ergastolo e ora pendente in secondo grado, ndr), deliberavano l’assassinio dell’avvocato Pagliuso, incaricando per la materiale esecuzione il loro sodale Marco Gallo, killer della cosca, che cagionava la morte dell’avvocato Pagliuso», avvenuta la sera del 9 agosto 2016 a Lamezia Terme nel giardino dell’abitazione alla quale il legale aveva appena fatto ritorno.
Il delitto sarebbe stato commesso perché l’avvocato Pagliuso era dagli Scalise ritenuto responsabile di aver agevolato e favorito il rivale Domenico Mezzatesta, sia nel processo che vedeva quest’ultimo, insieme al figlio Giovanni (classe 74, ndr) imputati del duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo» (soggetti legati a doppio filo alla cosca Scalise), sia nel periodo della latitanza di Domenico Mezzatesta. Negli attriti e nell’acredine contro i Mezzatesta, gli Scalise avrebbero attirato anche la figura dell’avvocato, reo di fare il proprio mestiere. (ale. tru.)

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