CATANZARO «Hai visto che fine ha fatto “Toro Seduto”, non è che dobbiamo arrivare anche con voi?». La frase entra in un verbale del pentito Santo Mirarchi il 30 giugno 2016. Mirarchi la attribuisce a Nico Giofrè, che la Dda di Catanzaro considera il referente delle cosche di Isola Capo Rizzuto nel capoluogo. Giofrè avrebbe pronunciato queste parole dopo la morte dello storico capo della comunità rom, freddato nel quartiere di Aranceto nel 2015. Dopo quell’omicidio, le mire espansionistiche degli “zingari” sembrano sopite. I clan del Crotonese – è l’ipotesi degli inquirenti sul delitto di Domenico Bevilacqua – hanno dimostrato la propria forza. Non tutti i rom, però, hanno smesso di agitarsi. Si rende necessario mandare un nuovo messaggio. Lo scenario è quello di alcune villette di Germaneto: è lì che – stando alle dichiarazioni del pentito – Giofrè e Mirarchi convocano “Mico Rota Liscia”, al secolo Domenico Viceloque. Gli chiedono «di non dare fastidio a un’impresa che stava effettuando lavori» a Germaneto, «poiché Mico aveva già “infastidito”» la ditta «chiedendo a volte il ferro, a volte del carburante e a volte delle somme di denaro». Il riferimento a “Toro Seduto” è esplicito, non c’è bisogno di specificare altro.
Nella richiesta di misure cautelari vergata dai pm della Dda di Catanzaro, quel passaggio nel verbale di Mirarchi diventa centrale per “spiegare” la tensione tra i clan di Isola Capo Rizzuto, storicamente abituati a servirsi di un pezzo della comunità nomade come manovalanza criminale, e chi invece voleva mettersi in proprio o, quantomeno, non rispettava le consegne. Prima “Toro Seduto”, poi “Mico Rota Liscia”: entrambi uccisi. Le date sono importanti: Mirarchi parla con gli inquirenti nel giugno 2016, Viceloque cade sotto i colpi di un killer il 27 febbraio 2017. Alla luce del presunto dialogo raccontato dal pentito, i pm antimafia scrivono che quell’omicidio «non sarebbe stato un evento del tutto inaspettato».
Viceloque viene assassinato nei pressi dell’accampamento nomadi di cui è capo. Un sicario lo aspetta a bordo di un’auto – che risulterà rubata – vicino a un distributore di benzina. Sei colpi di pistola semiautomatica non gli lasciano scampo. Per la Dda di Catanzaro era «uno dei capi rom che non voleva assoggettare le proprie attività estorcevi al clan di Roccelletta di Borgia, a sua volta subalterno alla consorteria di Isola Capo Rizzuto della cosca Arena». “Micu Rota liscia” «continuava ad agire in autonomia». È per questo che Giofrè lo avrebbe incontrato «dicendogli che se avesse continuato a persistere nella sua condotta avrebbe rischiato di essere eliminato come Domenico Bevilacqua».
In un altro interrogatorio, Mirarchi racconta che Viceloque «aveva infastidito anche un’altra impresa; una ditta che si occupava di edilizia e che aveva il capannone ai confini con Germaneto perché era al di là della fiumara che delimita i territori e quindi nel comune di San Floro». Quelle «richieste di materiale edile» avevano infastidito i referenti criminali dell’area.
Fastidio che sarebbe confermato anche dalle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Annamaria Cerminara. I verbali di Cerminara, appuntano gli inquirenti, avrebbero «confermato quanto già dichiarato da Mirarchi in ordine all’insofferenza delle cosche di Isola Capo Rizzuto per il comportamento di Domenico Bevilacqua, il quale aveva mire espansionistiche volendo gestire in autonomia le attività estorsive sul territorio di Catanzaro». L’ex convivente della collaboratrice, Giovanni Passalacqua, avrebbe avuto «rapporti consistenti in affari illeciti» con due capi storici degli zingari, Cosimino Abbruzzese “U Tubu” e lo zio Domenico Viceloque, “Micu Rota Liscia”. Riguardo a quest’ultimo, Cerminara racconta che «raccoglieva i proventi di natura estorsiva nella zona del parco eolico di Germaneto».
Per questo motivo Viceloque sarebbe entrato «in contrasto con esponenti del clan di ‘ndrangheta di Roccelletta di Borgia, nonché con altre cosche crotonesi, che vantavano il predominio criminale in quella zona». Al presunto dialogo di cui parla Mirarchi, si somma un altro incontro narrato dalla collaboratrice di giustizia, secondo la quale Passalacqua sarebbe stato convocato assieme a Cosimino Abbruzzese dalle cosche crotonesi, che «chiesero ai due nomadi di intervenire sul comportamento di Domenico Viceloque, allo scopo di evitare la sua ingerenza nelle vicende estorsive, cercando di fargli comprendere che stava entrando in contrasto con le cosche di ‘ndrangheta». L’ex convivente di Cerminara – secondo il suo racconto – avrebbe incontrato spesso “Micu Rota Liscia”» per appianare i dissapori. In un caso, dieci giorni prima dell’assassinio, avrebbe cercarto di «portarlo alla ragione». Ma il rom “ribelle” avrebbe affermato «che gli esponenti della ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto gli dovevano corrispondere il denaro; per di più nel corso di altri incontri, “Mico rota liscia” affermò al nipote che anche Cosimino Abbruzzese non gli voleva corrispondere il denaro che riceveva dalle cosche isolitane».
«Tuttavia – sintetizzano i magistrati – il destino di “Micu Rota Liscia” venne deciso dalla ‘ndrangheta. Cerminara racconta che, prima dell’omicidio, «sentì personalmente dire in una riunione (…) che le cosche crotonesi ne decretarono la morte». Una sentenza eseguita a due passi dal campo rom in cui si sentiva intoccabile. (2. Fine)
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