REGGIO CALABRIA «Sentite, mi serve un trasporto fino a Napoli che devo mandare un po’ di soldi ai cinesi. Voi potete salire un milione alla volta? Anche di più se potete, se vanno in macchina». La comunicazione intercettata dai carabinieri del Ros avviene su una linea criptata. È il 10 dicembre 2020, un giorno dopo il trasferimento di 400 chili di cocaina dalla Piana alla Locride. Sebastiano Strangio aggiorna il colombiano “Anuel”: «Stiamo lavorando più velocemente possibile per mandare il vostro denaro». E spiega che «i dovuti narco-proventi – la sintesi è degli investigatori – sarebbero stati trasferiti entro brevissimo tempo in Colombia attraverso operazioni di money transfert perfezionate da Napoli. «Due giorni. Napoli». L’inchiesta “Eureka” della Dda di Reggio Calabria, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo, svela il meccanismo di pagamento utilizzato dai clan nel business con i fornitori sudamericani.
Un sistema capace di generare decine di milioni di euro al mese secondo due metodi consolidati. I calabresi possono decidere di pagare il carico e poi venderlo tenendo per sé i guadagni oppure occuparsi della commercializzazione della cocaina. In questo caso si pattuisce un prezzo minimo di vendita al chilo, i cui profitti vengono ritrasferiti oltre oceano. Il guadagno per gli ‘ndranghetisti è costituito dal maggior prezzo di vendita rispetto alla cifra base concordata con i grossisti. Le indagini documentano in più circostanze le movimentazioni di denaro. Sono cifre notevoli.
Seguendo un carico da 500 chilogrammi di cocaina, 425 dei quali «distribuiti dal gruppo “Fracascia-Nardo-Leuzzi” tra la Piana e la Jonica», gli investigatori ricostruiscono il flusso di denaro. I quattro quintali e passa si traducono in 11 milioni 711mila euro «a più riprese rimpatriati prima in Colombia e successivamente in Belgio, in favore dei paramilitari attivi nel distretto di Antioquia, dei fornitori colombiani (intranei al Clan del Golfo), nonché del sodale Lucio Aquino, dimorante a Massmechelen in Belgio».
Seguiamo i denari che partono alla volta della Colombia: si tratta di 5 milioni 326mila euro. Il trasferimento avviene «su strada dalla Calabria sino a Roma e Valmontone da dove, successivamente», i soldi vengono «veicolati in Sudamerica attraverso operazioni di pick-up money assicurate da individui cinesi». Un’altra quota, pari a 6 milioni 385mila euro viene invece trasferita in parte su strada direttamente fino in Belgio, a Maasmechelen e Genk o, in alternativa, «dalla Calabria a Giugliano in Campania» per poi giungere in Belgio ancora con l’ausilio dei cinesi.
È questo il sistema che permette la circolazione delle cifre monstre legate al narcotraffico. Un metodo che i narcos della Locride considerano affidabile. E, come tutte le cose che funzionano, il pick-up money costa. Lo evidenziano gli inquirenti: i capitali vengono trasferiti in Colombia e Panama dalla Calabria o dal Belgio attraverso «operazioni garantite da circuiti criminali cinesi, al costo percentuale compreso tra il 14 e il 16% della somma di volta in volta trasferita (solitamente mai inferiore a un milione di euro)». Il “sistema” delle famiglie di San Luca e Bovalino è disposto a corrispondere 140-160mila euro per ogni milione trasferito in contanti dai cinesi all’estero. È una cifra che dà la misura degli enormi guadagni del narcotraffico. Queste operazioni clandestine internazionali mettono in circolo centinaia di milioni di euro all’anno.
I magistrati antimafia di Reggio Calabria hanno individuato nel Lazio e in Campania (a Roma e a Napoli, ndr) le due “centrali” utilizzate dalla ‘ndrangheta per i trasferimenti dei contanti. «Compa’, venerdì mattina presto mi dovete fare la cortesia di salire a Roma che devo mandare i soldi (…) salite 56mila euro da qui e altri 136mila ve li danno a Roma», chiede uno dei narcos al trasportatore. È uno dei tanti viaggi programmati per alimentare il sistema criminale che ha sbocchi in tutto il mondo. Non è la prima volta che le “rimesse cinesi” conquistano le cronache. Fu la guardia di finanza di Firenze a scoperchiare, nel 2010, un affare da miliardi di euro con ramificazioni in quasi tutta Italia. Il punto di partenza? Molto simile a quello che descrivono le conversazioni dei presunti ‘ndranghetisti intercettati: un borsone con 548mila euro tra contanti e assegni, diretto verso una sub agenzia di money transfer di Prato per inviare il denaro in Cina. L’ipotesi era che dietro il caso di un cittadino cinese impegnato a riciclare il “nero” di una società tessile si nascondesse in realtà molto altro. Un sistema ramificato a disposizione di decine di imprenditori: secondo l’accusa, i miliardi fatti sparire dal circuito legale erano 2,7. Quel meccanismo presenta similitudini inquietanti con quello descritto dalla Dda di Reggio Calabria. Con una raffinatezza in più costituita dall’utilizzo dei “criptofonini” da parte dei clan. Lo scopo, però, è lo stesso: far partire valigie di contanti verso lidi lontani evitando i controlli.
«Tutto bene – spiega Sebastiano Strangio – oggi devono consegnare i soldi in Sudamerica per il lavoro in Australia». Qualche giorno dopo, nel clan Giorgi ci si chiede come mai «i referenti in Ecuador» non avessero «ancora ritirato il denaro inviato». I “compari” non hanno dubbi, i soldi sono arrivati a destinazione. Lo prova una foto che circola in chat: un dollaro americano sul quale, a penna rossa, è annotata la data di avvenuta consegna della somma di 175mila dollari. Le chat tra i membri del clan evidenziano un tentativo di aumentare la cocaina da importare in Australia. E, dunque, anche le quote da destinare all’investimento. Operazione per la quale serve la “solita” assistenza della criminalità cinese. «Stiamo contattando il cinese per mandare i soldi per i canguri – comunica Salvatore Giorgi. Parente, io lavoro tutto il giorno, voi il tel lo volete solo per passatempo». Pochi minuti dopo arriva la conferma: «Ho risolto adesso, ho finito per mandare i soldi per i canguri».
Anche Aquino, da Maasmechelen, si attiva per movimentare una parte del denaro: «Bro a posto (…) Cu stu minchia di cinesi». In una chat di gruppo, poi, indica l’indirizzo «ove far giungere il corriere per ritirare la somma contante di 370mila euro da trasferire successivamente in Ecuador. Da questo passaggio emerge «che il cinese», identificato soltanto con il nickname Green su uno dei criptofonini, «richiedeva una commissione pari al 14% del denaro da trasferire». Certi servizi, specie se illegali, costano. (p.petrasso@corrierecal.it)
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