Per chi è colto Carmagnola è il paese legato ad un conte raccontato in una tragedia in versi scritta da Alessandro Manzoni. In verità il personaggio della tragedia è Francesco da Bussone che in realtà era di Castelnuovo Scrivia, nel Lombardo e non nel marchesato di Saluzzo in Piemonte.
Pasquale Bonavota latitante di ‘ndrangheta, recentemente arrestato a Genova, carriera criminale iniziata con un faida nel Vibonese, è stato spesso indicato da autorevoli magistrati, come Marisa Manzini, attivo come capo a Roma e anche a Carmagnola. In effetti Bonavota con la sua famiglia risulta aver aperto un bar nella vicina Moncalieri, mentre tra il 2015 e il 2016 era stato assunto fittiziamente nella ditta edile “Build Up” in provincia di Torino.
Ma le proiezioni della cosca vincente di Sant’Onofrio in provincia di Vibo Valentia convergono su Carmagnola, trentamila abitanti circa, trenta chilometri da Torino, borgo industriale che a partire dagli anni Sessanta ospita nuovi stabilimenti Fiat che ne fanno molto aumentare la popolazione.
Diversi pentiti hanno aperto questo collegamento geografico con Sant’Onofrio.
«A Carmagnola è come in Calabria», disse Andrea Mantella, uno dei pentiti del processo Rinascita-Scott. Secondo il collaboratore di giustizia, Carmagnola è dagli anni Novanta un feudo della ‘ndrina dei Bonavota, che sono presenti attraverso il clan Arone: «I cognomi sono diversi ma la fazione è la stessa, così come lo stesso è il potere. E in città ci sono le stesse tradizioni della Calabria».
«L’affruntata – dice il pentito – si fa a Sant’Onofrio, si fa a Carmagnola e si fa anche in Canada, a Toronto. Tre posti dove ci sono i Bonavota. Guarda caso». Fece sul punto un chiarimento molto autorevole l’antropologo Vito Teti, gran conoscitore delle tradizioni calabresi, che in seguito a episodi di contaminazione sospetti scrisse in un suo articolo: «Carmagnola in Piemonte e a Woodbridge nell’Ontario, in prossimità di Toronto, sono luoghi dove sono sorti dei doppi del paese di origine» e quindi è normale che le processione si ripetano nei luoghi di emigrazione. E pur con prudenza sui fatti l’antropologo osservava: «Le feste riflettono anche le luci e le ombre presenti nelle nostre comunità, i contrasti e i conflitti sempre latenti, raccontano i rapporti sociali e anche i desideri e le voglie di apparire di ceti sociali emergenti o che, talora, prosperano nell’illegalità».
Nella Pasqua del 2010 prima della celebre processione del dolore di Pasqua a Sant’Onofrio si era dovuto registrare un attentato a casa del priore con colpi di pistola intimidatori. Il movente era da ricercare nei portatori che venivano indicati un tempo dai “malamente”. Il vescovo rimise le questioni al loro posto e tutto si svolse secondo i crismi della legalità. In un reportage della Stampa dell’epoca leggo che i Bonavota in paese erano considerati “devoti”. Non è un caso che Pasquale a Genova sia stato strappato alla latitanza mentre pregava in chiesa. Nei verbali del pentito Rosario Michienzi sta scritto: «Per noi l’Affruntata è l’occasione per nuove affiliazioni. I nuovi picciotti portano in spalla san Giovanni e si inchinano tre volte davanti alla Madonna, portata in spalla dai capibastone».
Era anch’egli di Sant’Onofrio e partecipò alla strage dell’Epifania architettata proprio contro i Bonavota e che lasciò a terra due morti e 10 feriti, incolpevoli di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gli obiettivi si salvano con la fuga. Invece in questi incroci di verità, il pentito Mantella sostiene che Pasquale Bonavota doveva essere ucciso davanti ad un bar di Carmagnola per vendicare l’assassinio di Alfredo Carcolici, morto in un agguato a Vallelunga. Per tornare alle processioni, comunque, i magistrati non hanno tralasciato nulla; infatti nell’ambito del riunificato processo Carminius-Fenice in Piemonte sono state prodotte le copie del gemellaggio tra Sant’Onofrio e Carmagnola firmate dai due comuni e si trova anche l’indicazione sul fatto che «Carmagnola è stata la prima città piemontese in cui si è svolta, nel 2003, l’Affruntata, tradizionale rappresentazione religiosa del giorno di Pasqua, con le statue dei santi fatte arrivare appositamente da Sant’Onofrio».
Sono cronaca invece, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, le dichiarazioni del pentito siciliano, Ignazio Zito, inserite nelle motivazioni della sentenza del processo Carminus-Fenice (contro la cellula dei Bonavota installata a Carmagnola). Secondo tali dichiarazioni nel 2015 Messina Denaro e altri capi di Cosa Nostra avevano stretto un patto con i boss della ‘ndrangheta per lavorare insieme e diventare un’unica famiglia in Piemonte. Personaggio ambiguo Zito. Già pentito, estromesso dal programma di protezione, arrivato a Carmagnola sarebbe entrato nel sodalizio mafioso contaminato grazie al genero. Durante il processo ha parlato dei propositi di un attentato con bombe da attuare contro un giudice.
Nella sentenza di primo grado del processo si trovano verità più rilevanti della presenza della ‘ndrangheta a Carmagnola. C’è l’auto bruciata all’assessore Alessandro Cammarata, che si era opposto ad una gestione mafiosa dei videopoker bocciando regolamenti favorevoli, e quelle sempre andate in fiamme del vicesindaco e di una commercialista. Nelle motivazioni di condanna si legge che: «Piccoli imprenditori, artigiani e cittadini di vario tipo si sono rivolti ai soggetti apicali del sodalizio per la risoluzione di conflitti tra privati o di controversie di natura civilistica, affidando loro compiti propri delle autorità statali o di professionisti senza che costoro fossero dotati di competenze e capacità tali da giustificare un intervento». Carmagnola insomma forse peggio di Sant’Onofrio. Non manca il colletto bianco locale condannato nel processo. Mario Burlò, imprenditore di successo di fama nazionale, vicepresidente delle piccole e medie imprese italiane che conta duecentomila iscritti. Aveva una galassia di società messe a servizio dei clan per governare evasioni fiscali, controllare assunzioni in affitto e reinvestire soldi sporchi. Sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa perché «soggetto disponibile a concludere affari con chiunque pur di ottenere doviziosi guadagni. Anche con i mafiosi. Anche con la ‘ndrangheta». Tra i movimenti sospetti la compravendita della villa del calciatore Vidal quando aveva giocato nella Juventus.
Nel processo alla mafia-‘ndrangheta di Carmagnola il pentito Zito aveva fatto entrare come vittime anche due ex giocatori del Torino, Gigi Lentini titolare di un ristorante e Marco Ferrante gestore di un centro sportivo. I due ex atleti in aula hanno negato di aver pagato duemila euro al mese di tangente, e Lentini invece ha ammesso di aver dato centomila euro ad Alessandro Longo, uno degli arrestati, ma ha motivato il passaggio di denaro come “prestito”. infatti chi ha incassato è stato assolto da ogni accusa.
Chissà come nei bar di Carmagnola hanno commentato il clamoroso arresto a Genova di Pasquale Bonavota e se le indagini sulle collusioni della latitanza approderanno da queste parti? Il comune, parte civile al processo contro le cosche, si è visto riconosciuto un risarcimento di 250mila euro. L’assessore Cammarata, anche lui si era costituito parte civile nel processo, non vive più sotto scorta. In un dibattito pubblico, lo scorso marzo, l’avvocato Gian Mario Ramondini ha così storicizzato: «La ‘ndrangheta a Carmagnola ha un radicamento storico che risale a ben prima del 2019. I suoi comportamenti mafiosi erano indirizzati soprattutto all’estorsione e al gioco d’azzardo illecito. Il tutto sottoposto a un pericolosissimo atteggiamento da parte della ‘ndrangheta di sostituzione alle Istituzioni locali e allo Stato». Il prossimo 16 maggio si apre il processo d’Appello. Pasquale Bonavota ne seguirà le fasi al 41 bis e non da latitante. (redazione@corrierecal.it)
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