Un crypto phone, un passaporto falso, soldi e contatti per scappare in Brasile, addirittura con la disponibilità di un aereo. La fuga di Rocco Morabito, tra i più importanti trafficanti internazionali di droga al mondo ed esponente di spicco della ‘ndrangheta di Africo, è ricostruita nelle carte dell’inchiesta Eureka, l’operazione che ha visto la cooperazione delle Dda di Reggio Calabria, Milano e Genova, degli investigatori di Germania, Belgio e Portogallo e che ha smantellato l’organizzazione transnazionale dedita al riciclaggio, al traffico di droga e armi in tutto il mondo. Tonnellate di cocaina e milioni di euro per un giro dalle «risorse finanziarie importantissime». L’inchiesta, secondo quanto emerso, ha toccato i livelli più alti dell’organizzazione criminale. Un’operazione complessa che ha permesso anche di ricostruire la fuga e la latitanza del super boss detto “Tamunga” dopo la fuga dal carcere di Montevideo, in Uruguay, nel 2019. Un’operazione, è stato spiegato in conferenza stampa, della quale non erano stati forniti i dettagli proprio perché c’erano ancora in corso ulteriori indagini per riuscire a ricostruire la rete di associati che aveva permesso a Morabito di mantenere la propria latitanza, fino alla cattura.
Un’evasione «rocambolesca». Così fu definita la fuga del 57enne che il 24 giugno 2019, insieme a tre complici lasciò il “Carcel Central” di Montevideo in Uruguay, dove era detenuto dal 2017 in attesa di estradizione per l’Italia. Morabito era stato arrestato nel settembre del 2017 a Montevideo. Due anni dopo, il Tribunale uruguayano ne aveva autorizzato l’estradizione. A maggio 2021 arriva la notizia della sua cattura: U Tamunga, viene catturato a Joao Pessoa, capitale dello stato brasiliano di Paraiba, insieme ad un altro narcotrafficante latitante, Vincenzo Pasquino. All’indagine hanno collaborato anche il gruppo dei carabinieri di Locri e i militari del Comando provinciale di Torino. A coordinare le attività le Procure distrettuali di Reggio Calabria e di Torino con l’ausilio della direzione generale Affari internazionali e cooperazione giudiziaria del ministero della Giustizia italiano e del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti.
«Promotore, dirigente, organizzatore e finanziatore» della struttura organizzata con base decisionale-operativa ad Africo, nel Reggino, e articolazione in Sudamerica. Così gli investigatori definiscono Rocco Morabito, numero uno tra i broker a gestire il traffico di cocaina per i cartelli del Sudamerica. Ed è proprio nel suo periodo di latitanza, dopo l’evasione, che Morabito, «dopo un breve periodo di “assestamento” per rifornirsi di denaro e documenti falsi, ha iniziato a organizzare, a mezzo dei suoi contatti, numerose spedizioni di cocaina gestiti assieme ai propri sodali». Il gruppo faceva affari approvvigionandosi in Sudamerica (in particolare Colombia e Brasile) di ingenti partite di stupefacente del tipo cocaina, trasportate in Italia (in particolare fino al Porto di Gioia Tauro) e in Europa (in particolare nel porto di Anversa), occultate in container imbarcati su navi provenienti dai vari porti del Sudamerica. “U Tamunga”, nelle carte dell’inchiesta, risulta essere anche «dirigente, organizzatore e finanziatore del sodalizio», colui che forniva «le somme di denaro indispensabili per l’acquisto dello stupefacente (anche a credito, in forza della fama criminale conseguita in decenni di traffici precedenti in Sudamerica), spettando a lui le più importanti decisioni relative alle importazioni e alle successive vicende anche relative alla commercializzazione della sostanza e dividendo i relativi proventi». Una fama dunque riconosciuta e consolidata che gli ha consentito, come emerge dall’inchiesta, di avere appoggi per entrare in possesso di dispositivi di comunicazione all’avanguardia, documenti falsi e mezzi di trasporto.
Un criptofonino (dispositivo che secondo quanto emerso sarebbe stato utilizzato da molti indagati per non farsi intercettare), somme di denaro non quantificate, documenti falsi e perfino un aereo pronto per andare a prenderlo. A disposizione di Rocco Morabito c’era tutto quello che poteva servire per darsi alla fuga. U Tamunga utilizzava in particolar modo SkyEcc. Chat che gli investigatori italiani sono riusciti a disvelare in quanto alcune «autorità e polizie giudiziarie straniere (in particolare olandesi, belghe e francesi) hanno “violato” i server ove venivano memorizzate le conversazioni, acquisendo i dati contenuti». Suo assiduo interlocutore, come emerge dalle intercettazioni, era il nipote Carmelo Morabito.
“Ti hanno portato i soldi Te li ho spediti grazie al parente dell’africa“, si legge in un messaggio che il nipote aveva inviato allo zio tramite criptofonino solo tre giorni dopo l’evasione dal carcere uruguayano. E proprio dai messaggi che Carmelo Morabito inviava, che gli inquirenti sono riusciti a ricostruire la latitanza del superboss, che grazie al nipote era risuscito ad entrare in contatto con la sua famiglia e al quale in tanti si stavano muovendo per procurare un passaporto falso.
(“Vedi pure se vuoi k ti vengono a prendere amici dei platioti x stare con loro k hanno tutto..mandano aereo dicono“). Dalle chat emerge anche il fatto che Carmelo Morabito stesse organizzando il trasferimento in Paraguay dello zio, che sarebbe avvenuto tramite i soggetti di Piatì che disponevano addirittura di un aereo per prelevarlo direttamente dal luogo dove si stava nascondendo (“Caso mai vediamo di farlo venire dove vuoi tu“).
(m.r.)
x
x