COSENZA Il boss Francesco Patitucci, successore di Ettore Lanzino alla guida della ‘ndrangheta cosentina, faceva le vacanze in un residence a San Lucido. Vista mare, ottime cene a base di pesce e incontri tra affiliati, come si compete a un “capo”. È sulle sponde del Tirreno che avrebbe presentato i fratelli Pino e Pietro Calabria ad Adolfo Foggetti, poi divenuto collaboratore di giustizia. Sarà proprio Foggetti, anni dopo, a raccontare che i due e il loro clan «controllavano tutto il traffico di droga, dall’erba, cocaina…».
Quello disegnato dall’inchiesta della Dda di Catanzaro sulla ‘ndrina Tundis-Calabria è «uno spaccato allarmante» (così lo definisce il gip Giuseppe De Salvatore nell’ordinanza di custodia cautelare) degli equilibri mafiosi su un pezzo del Tirreno cosentino. I collaboratori di giustizia ne evidenziano la presenza sul territorio di San Lucido e zone limitrofe. Ed è proprio Adolfo Foggetti, che, per primo, colloca l’esistenza del gruppo Calabria già a partire dal 2010. «A Paola c’ero io e a San Lucido c’erano i Calabria – spiega nel corso di una udienza del processo Frontiera – perché i Calabria ce li ha messi Francesco Patitucci». Gli equilibri criminali nel capoluogo influenzano quelli che si vanno formando sulla costa. Se Patitucci, successore del boss Ettore Lanzino, conferisce i galloni ai Calabria, il suo braccio destro (e poi reggente dei clan confederati) Roberto Porcaro – oggi pentito – attiva i propri canali nel narcotraffico per contribuire allo smercio di droga.
«I Calabria – dice ancora Foggetti nell’interrogatorio del 13 gennaio 2015 – facevano il tramite tra… cioè, li aveva sotto Porcaro, solamente che cosa succedeva… dato che la droga da noi là era la stessa… cioè la stessa provenienza, anche se a volte c’erano i Calabria che la prendevano da Rosarno, quando Cosenza non l’aveva». È lungo il filo delle dichiarazioni di Foggetti che si snoda la prima parte della ricostruzione investigativa dei magistrati antimafia. Il pentito parla anche di «un formale rito di affiliazione» per Pietro Calabria, Fabio Calabria e Gianluca Arlia, «pur non sapendo riferire il grado criminale loro conferito». Questa la geografia dei clan nell’area tirrenica secondo quanto spiegato nel novembre 2017: «Nella zona di Paola c’ero io; nella zona di San Lucido, Torremezzo c’erano i Calabria; poi nella zona di Longobardi, lì Amantea, c’erano i fratelli Suriano, Francesco e Giuseppe, che sono i nipoti di Tommaso Gentile, cioè tutto quello che mi è stato riferito quando io sono uscito il 2010, da Francesco Patitucci». Parole che ritornano nelle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Luciano Impieri: «A San Lucido comandano i Calabria, che sono stati messi come reggenti su quel territorio da Roberto Porcaro e Francesco Patitucci».
Foggetti spiega inoltre quali sono «i rapporti economico-criminali che la ‘ndrina di San Lucido» intrattiene con la cosca “Rango-Zingari” di Cosenza e la cosca “Muto” di Cetraro, «all’epoca alleate e funzionalmente collegate per la gestione dell’imposizione dei servizi di buttafuori nei locali della costa tirrenica cosentina». Nel quadro di questi accordi, «la federazione Muto-Rango-zingari» stringe «accordi con la ‘ndrina egemone su San Lucido, proponendo a Calabria Pietro un accordo pro forma, al quale avrebbe dovuto obbligatoriamente aderire per via della sua “derivazione” criminale da Patitucci Francesco e che gli avrebbe comunque assicurato il proprio benestare sulle attività estorsive». Foggetti spiega poi «che i Calabria erano legati ai referenti Patitucci e Porcaro da un altro vincolo negoziale, che consisteva nell’impiegare i capitali dei cosentini per concedere prestiti a usura, con i cui proventi i sanlucidani finanziavano le proprie attività illecite, in primo luogo lo spaccio». (p.petrasso@corrierecal.it)
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