CATANZARO È stata ricostruita per la prima volta l’intera filiera della rotta balcanica che dalla Turchia porta i migranti in Europa. «È stato possibile ricostruire il viaggio di disperati che scappano dalla guerra, arrivano in Turchia, da qui vengono portati a Salonicco, in Grecia, e poi sulle coste italiane dove altre organizzazioni li prendono in carico e gli fanno raggiungere la destinazione richiesta», ha spiegato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa dell’operazione che ha portato, questa mattina all’arresto di 29 persone. Secondo quanto ricostruito dall’inchiesta coordinata dai pm Paolo Sirleo e Anna Chiara Reale, le varie cellule dell’organizzazione lavoravano in rete. Agli indagati, infatti, viene contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata al trasporto di stranieri nel territorio dello Stato.
«Ogni viaggio arrivava a costare sui 10mila euro», ha spiegato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della Polizia. Messina e Fausto Lamparelli hanno descritto le varie fasi della rotta balcanica che è stata ricostruita pezzo per pezzo. Un lavoro che ha impiegato anche la Procura generale, guidata da Giuseppe Lucantonio, impegnata sabato a mandare all’estero le rogatorie internazionali. «È importante che il fenomeno venga disvelato», ha detto Lucantonio.
Ogni cellula aveva un compito differente, hanno spiegato gli investigatori. Il viaggio ha inizio in Turchia dove i sodali della cellula turca danno tutte le informazioni sul viaggio e sulla cifra da pagare e conducono i migranti a Salonicco. Qui entra in gioco la cellula greca che conduce i passeggeri ad Atene e poi a Patrasso dove si trovano gli skipper che a bordo di barche a vela attendono il momento più propizio per partire.
La meta è il sud Italia dove ad attendere i migranti c’è la cellula italiana. Chi scappa dalla guerra ha nazionalità irachena, siriana, pachistana, africana. L’inchiesta, anche se contempla la stessa rotta dei disperati morti nel naufragio di Cutro, è partita nel 2018, ha richiesto l’impiego di interpreti e la traduzione in cinque lingue dell’ordinanza di custodia cautelare. È stata un’indagine fatta di pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali. In Italia sono state contate sette cellule di cui una, quella di Trieste, era dotata di una cassa comune. Accanto alla squadra mobile di Crotone hanno lavorato anche l’Interpol e l’Europol. «Erano vere e proprie agenzie di viaggio ben organizzate», ha detto Lamparelli.
Agli indagati viene contestato, a vario titolo, anche il reato di riciclaggio. Sono state, infatti, censite una serie di transazioni sospette col sistema del money transfer. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x